Rime (Andreini)/In morte di Nisida
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IN MORTE DI NISIDA.
Del famoso Meandro dolcemente
Riempiete col canto, ò pur col pianto
(Quant’alcun dice) di pietà soàve
Alhor, che sete al morir vostro appresso;
E tù mai sempre à tuo’ pietosi lài
Trà verdi rami Filomena intenta,
Ch’ancor del folle tuo creder ti lagni;
E tù sposa fedel, che ’l tuo Ceìce
Per le rive del Mare ove ’l perdesti,
E cerchi, e chiami, e ’nvan sospiri, e piagni
Deh pietà vi sospinga à pianger meco,
Meco à lagnarvi (ohime) mentr’io sospiro
Lagrimando ’l mio stato; hor che son lunge
Da lei, che fù mentre vivèa trà noi
Honor del Mondo, e d’ogni cor catena.
E benche forza vincitrice il pianto
Non habbia incontr’al Fato, chei viventi
Immutabile atterra, in parte almeno
Sfoga la doglia, ò Valli, ò Selve, ò Colli
Accompagnate il suon de’ miei sospiri.
Non son Nisida mia privi di luce
I tuo’ bei lumi; sono gli occhi nostri
Perlo tuo dipartir ciechi rimasi.
Noi siamo in loco ov’è perpetua notte.
Tù vivi in parte ov’è continuo giorno;
Dove sotto à’ tuoi piè l’oscure nubi
Vedi, e le chiare stelle, ò te felice,
O noi dolenti, che da te lontani
Siam morti ancor c’habbiam di vivi il nome.
Tù godi in Cielo Primavera eterna.
Noi Verno in terra habbiam, che mai non parte.
Tu vivi senza vita; e senza morte
Moriamo noi. tù quella chiara luce
Del sommo Ben vagheggi, e noi l’horrore
Fosco miriam, che ’l cieco Mondo involve.
Il tuo bel Sol ne i lidi occidentali
Mai non si corca; e ’l nostro (ahi fera sorte)
Al tuo sparir tuffossi in grembo à Theti;
Nè più sorge à ’ndorar de gli alti Monti
Le alpestri cime; anzi l’oscura notte
Con l’ali ombrose ogn’hor la terra ammanta.
Gli Olmi, le Querce, i Faggi, i Lauri, e i Mirti
Piangon lor vaghe spoglie à terra sparse;
Nè più su i rami lor cantan gli Augelli
Come solean. solo v’alberga, e stride
La Nottola infelice, e ’l mesto Gufo.
Stassi ne le sue foci Arno dolente,
Ed al Tirreno Mar nega l’usato
Tributo; onde assetate son le rive
Del bel Tosco terren, c’hor mesto langue;
Cercan le Ninfe i più deserti alberghi;
Risuonan de’ Pastor le strida intorno;
Geme la Terra, ed à le piante nega
L’humore; ed esse negano le frondi,
E i frutti à i rami lor; negano i campi
A noi le biade; e dan loglio, ed ortica
In quella vece; i fior lasciano l’herbe,
E lascian l’herbe ignudi i Prati, e i Colli.
Quante Fere più fiere il bosco alberga
Di spaventevol suon la Valle, e ’l Monte
Empion’ alhor, che da furore spinte
Vanno scorrendo de l’Etruria i campi.
Lascian le Gregge, lasciano gli Armenti
Il cibo, il fonte, e la già cara prole.
Dunque se gli Animai di ragion privi
S’affligon sì; noi, che ragione habbiamo
Anco à ragion pianger debbiam colei,
Che mentre se medesma in pace hà posta
Hà noi lasciati in guerra. Alma beata,
Che da l’eterna man, che formò il Cielo,
E lo dipinse di sì chiare stelle
Hor hai di tue virtù premio condegno,
Rasciuga per pietà l’humido ciglio
Di noi, che ’n pianto distilliamo il core.
Alma gentil, che dal profondo Mare
Di tante angosce te n’andasti à volo
Per quanto io sò, che ti diletta, e giova
Il ritrovarti in sì tranquillo porto
Lunge da le mortali atre tempeste
Prega il Rettor de l’un, e l’altro Mondo,
Ch’al nostro immenso duol ponga homai fine.