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Che da l’eterna man, che formò il Cielo,
E lo dipinse di sì chiare stelle
Hor hai di tue virtù premio condegno,
Rasciuga per pietà l’humido ciglio
Di noi, che ’n pianto distilliamo il core.
Alma gentil, che dal profondo Mare
Di tante angosce te n’andasti à volo
Per quanto io sò, che ti diletta, e giova
Il ritrovarti in sì tranquillo porto
Lunge da le mortali atre tempeste
Prega il Rettor de l’un, e l’altro Mondo,
Ch’al nostro immenso duol ponga homai fine.
IN MORTE DELL’ISTESSA.
Desta cantando, e chiama
L’ Agricoltor con replicata voce,
Perche ritorni à le fatiche usate;
Com’è di suo costume
Ei si riveste; e del securo albergo
Uscendo, ad un, ad un i fidi cani
Per nome chiama, e piglia il curvo aratro,
Perche mugghino ancor gli stanchi Buoi
Sotto l’antico giogo; onde la Terra
Nuove ferite nel suo sen riceva.
Alhor qual Sole d’atra nube cinto
Non sò se bella più che afflitta, e mesta
Avvolta in negra benda Hielle mia
Uscìo fuor di suo albergo, e gli occhi molli
Dal lungo pianto, in un soàve giro
Dopo un caldo sospiro
Al Ciel rivolse, e di color di rose
Vide, |