Rime (Andreini)/Egloga VIII
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MIRTILLO EGLOGA VIII.
Argomento.
Mirtillo Pastore.
D’argento i chiari fiumi,
Rider i prati, e verdeggiar i boschi,
E per gli aperti campi i capri snelli
Fuggir veloci, e presti,
E i lascivi capretti
Saltellar, e cozzar Montoni, e Tori,
E mentre lieto udìa
Risuonar dolcemente
Di pastorali accenti,
Di rustici stromenti Echo ne gli antri;
Mirtillo d’allegrezza colmo il core,
Mirtillo dotto al pari
De i più dotti pastori
In questi detti gài la lingua sciolse.
Amor cortese, Amore,
Amor alma del Mondo
Perfetto in tutto, e solo
A te stesso simile,
Che di beltà nascesti, e di beltade
Sempre ti pasci, ed altro
Vago Fanciul non sei,
Che un bel desìo di bello,
Quanto la Terra, e ’l Mare,
E quanto ha di bellezza in grembo il Cielo
O bellissimo Amore
Opra è del tuo valore.
Mentre del Mondo infante
Stava l’antica, ed incomposta massa
De gli elementi in un confusa, e mista,
E ’n ostinata guerra
Il secco de la Terra
Con l’humido de l’onda combattèa,
E col freddo de l’onda
Il calore del foco;
De l’Aria il lieve, e ’l caldo
Col gelido, e col grave
De la Terra pugnava;
Il chiaro de la luce
Con l’oscuro facea
De le tenebre eterna aspra tenzone:
Tù di bella pietade acceso il core,
Perche al fin l’infinita
Discordia havesse il desiato fine
Del tuo Fattor gentile
L’alta mente accendesti,
Ond’in un punto ei diede
Forma, e sembianza à disformata massa.
Così la Terra, che pur dianzi errava
Mobile senza boschi,
Senz’herba, senza monti,
Senza caverne, grotte, piani; e valli
Fermò stabile il piede, e di smeraldo
Hebbe la gonna, e lieta
La vide ornar di fiori;
Indi nascer foreste, e piani, e monti,
E nel suo sen le biade ondeggiar vide;
E de le care sue gradite piante
Gravi dal troppo peso
Incurvarsi i bei rami;
E quel, che più le piacque
Ella divenne albergo
Di vari innumerabili animali;
Che ’n lor voci d’amore
Lodavan sempre Amore.
Indi l’huom’ al governo
D’ogn’altra creatura inferiore,
L’huom, ch’è terreno Dio,
Animale celeste,
Nunzio de gli alti Dei,
Famigliar de le stelle,
E miracolo al fin de la Natura
Sorse, e fece più bello, e più felice
Il Mondo; e ’n chiaro suon rese ad Amore.
Grazie di tanto bene.
L’Onda, che immobil giacque
Non chiara, ò fredda, ò dilettosa, ò dolce
Hebbe moto, ed ogn’altra
Propria sua qualitate;
E ricetto si fece
Di squammosa, di muta,
D’ignuda, fredda, e mobile famiglia;
Che scorrendo di lei nel vasto seno
Lodava anch’essa, e celebrava Amore,
Amor sola radice de la vita.
E l’Aria oscura, e grave
Chiara, e lieve divenne,
E nutrice si fèo
Di vezzosi augelletti;
Che di letizia pieni
Te salutar cantando
Autor d’ogni salute.
Il Foco dianzi oscuro, e freddo trasse
Dal tuo bel foco Amore
In un luce, e calore;
Sì ch’egli infiamma, e nutre
Ogni cosa creata.
E ’l Ciel, che non devea
Prima Cielo appellarsi,
Che trasparente à gli occhi ancor non era,
Nè rotondo, e movente in giro eterno,
E non di stelle adorno
Non che de i maggior lumi
Infaticabil moto
Ricevè tua mercede amor possente;
E dei più puri fochi adorno, e vago
Si fè degno ricetto
De le cose più belle.
L’invidiose tenebre fuggìro
Da la serena luce;
Così tu solo Amore
Terra festi la Terra, ed Acqua l’Acqua.
Foco il Foco, Aria l’Aria,
Che prìa Terra non era, Acqua, Aria, ò Foco.
Così concordi furo
Del foco il caldo, e ’l secco
Col secco de la terra,
E col caldo de l’aria.
E l’humido de l’acqua, e ’l freddo suo
Conl’humido de l’aria si confece,
E ’l suo freddo con quello
De la gran madre antica.
L’humido, e ’l caldo poi de l’aria lieve
Con l’humido de l’onda
E col caldo del foco
Hebbe amicizia, e pace.
Il freddo, e secco de la terra hebbe anco
Col secco de la fiamma,
E col freddo de l’onda
Concordia, e fede eterna.
Dunque tù Amor, tù solo
Le cose diseguali insieme agguagli,
E le più basse à le più alte aggiungi,
Accordi le discordi,
E rendi amica al Ciel l’infima terra.
Per te verdeggia il prato,
E s’adorna per te di fronde il bosco.
Cantan per te gli augelli,
Per te lascia ’l timor la lepre vile,
Ed ogn’altro negletto,
Inerme animaletto.
L’ira lascia il Leon, e ’l Serpe il tosco.
Quei che viveano per le grotte alpestri
Ignudi, e senza legge; e con le belve
Prendean commune e la bevanda, e ’l cibo,
Per te lasciaro quella prima vita
Fiera non men che roza,
E purgata la mente
Dal tuo divino raggio
Impararo a trattar le lane, e i lini,
Ed a conoscer qual la terra amasse
Coltura, e seme; e come amasser tutti
Gli Arbori nutrimento, ò innesto; e come
Vita poteano haver le piante humili.
Fatti più saggi poi, le intente luci
Rivolser desiosi à l’alte sfere,
Dove i quattro minori
Aggiunti à’ sei maggiori
Orbi celesti penetraro à pieno,
Che van la terra circondando intorno,
Mentre, che l’Asse, e i Poli
Sempre immobili stanno.
Sepper, chel’Orizonte
Pone termine, e fine à gli occhi nostri
Partendo à mezo i Cieli.
Vider la fascia obliqua,
Che cinge ogn’altro Cielo
D’animali ripiena;
E nel mezzo di lei del Sol la via.
De i duo Tropici, l’un vider, ch’ardea,
L’altro agghiacciava il Mondo.
Non fù nascosta à loro
Quella division, che fanno i duo
Coluri, e sepper’ anco
Come Cinthia ’l fratel di luce spoglie;
E come poi la Terra
Suo velo intraponendo
Tra la sua vista, e ’l Sole
A lei la faccia oscuri.
Seppero come affisse
Stien ne l’ottavo Ciel le vaghe stelle,
E sette sole errare à noi portando
Hora benigni, ed hor maligni influssi.
Noto fù loro in quanto
Spazio ogni sfera termini il suo corso;
E come per sua forza ogn’altro cerchio
Rapisca il mobil primo,
E nel suo breve tempo il giri, e volva.
Vider Boote guardian de l’Orse
Vietar, che ’n mar non s’attuffasser mai.
Come di stelle adorna
De la Cretense la Corona splenda.
Inteser come il minor cane ardente,
Come Orione armato,
E tutti in somma quei segni, che quattro
Volte fan pieno il numero di diece,
Poi quattro volte due
Guidino allegri balli
A la dolce armonìa
De le rotanti sfere.
Così per tua cagione
Amor sola cagione d’ogni bene
Minima casa il Cielo in se non hebbe,
Nè sì picciola stella il bell’azurro
Di quegli eterni giri,
Che l’huom fatto per te saggio, e prudente
Non intendesse, e ’l dichiarasse poi.
Indi appararon come
S’incidesse il bel nome
D’amorosetta Ninfa
Nel duro sen d’un sasso;
Ne la corteccia molle
De le piante novelle;
Per te s’uniro con la cera insieme,
Le canne diseguali:
Al cui suono cantar note amorose
A le Ninfe, à le Dee già care tanto,
Ch’altro non desiar più dolce canto.
Amor dovunque vai, dovunque posi.
L’amorosa tua vista
Allegra, infiamma, avviva.
Ti van le grazie innanzi,
Il riso, col piacer vien sempre teco,
L’allegrezza, la gioia, l’armonia
Il contento, la pace, la quiete
Apollo, e ’l Choro tutto
De le nove Sorelle,
Che Poeta non è quel, che non ama,
E ’l verace Poeta è sempre amante.
Io benche in bosco nato
Al nudrir solo, al custodir la greggia
Fatto amante per te, per te imparai
A cantar i begli occhi, il seno, e ’l volto
Di lei, che dolcemente il cor m’hà tolto;
E quando i versi miei
Non sien cari ad altrui
Sò che son cari à lei, che amata m’ama.
Ma ’l tempo fugge, e vola, ed io quì tardo
Mentre ’l sereno sguardo
Di quegli honesti, e graziosi lumi
Agognano questi occhi;
Questi occhi (ohime,) ch’altr’esca al cor non danno.
A te dunque ne vegno,
Vita de l’alma mia, spirto del core,
Vaga mia Pastorella;
E di mia fede, e di mi’ amore in segno
Ti porterò nel proprio nido ancora
Due tortorelle, ch’io
A la madre involai,
Mentr’ella à i cari figli
Già vicini à spiegar il primo volo
Cercava intenta il desiato cibo.
T’arrecherò con quelle
Tessuta di mia man picciola cesta
Di marine cocchiglie tutta piena.
Dunque m’invio con frettoloso passo
A mirar quel bel viso,
Trà le rose, e i ligustri hoggi del quale
Amor quasi in sua fede
Soggiorna, e seco l’alma, e la mia fede.