Rime (Andreini)/Canzone VI
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CANZ. VI.
Che ’n tanto affanno m’hai tenuta avvolta.
Da la Ragion guerriera
Dopo lungo contrasto in fuga spinto
Al fin sei stato, e vinto.
Son da i lacci disciolta,
Che mi trassero un tempo prigioniera.
La ’ngiusta mano, e fiera
Di te non regge di mia vita il freno.
L’amaro tuo veleno,
Ond’hebbi ’l cor’ infetto
Sgombro hò dal petto. hor’ in altr’alma tenta
Novi trofei; che ’n me tua fiamma è spenta.
Monarca di martìri,
Che de’ sospiri altrui sempre ti pasci,
E ridi à l’altrui pianto,
E tal fai guerra à l’agitato core,
Che ne l’aspro dolore
Mai respirar no’l lasci;
Pur hor mal grado tuo gioisco, e canto;
E pur mi pregio, e vanto
De la mia dolce libertà gradita.
Quella mortal ferita
Cagion d’ogni mio male,
Che col tuo strale aurato mi facesti
Cangiata in cicatrice homai vedresti.
Camin pieno d’horrori,
Mastro d’errori, padre di bugia,
Nemico di pietate,
Sola cagion d’ogni tormento nostro,
Di natura empio Mostro,
Spietata frenesia,
Tempio di falsità, di crudeltate,
Ricetto d’empietate,
Mar procelloso, ch’entro à fragil barca
Misero Amante varca,
Mentitor inhumano,
Fanciullo insano d’ogni mal radice,
Furor, che rendi l’huom sempre infelice.
Chi comincia à seguirti
Gli egri suoi spirti in cruda guerra mette,
Perde sua libertade,
In chiuso laberinto il cor’ intrica;
Ad inutil Fatica
Il collo sottomette;
Ne gli ampi abissi di miseria cade;
Ter mendace beltade
A i singulti, à i lamenti apre la strada;
Niènte più gli aggrada,
Se stesso in bando pone,
Odia ragione, e stolto il ben disprezza;
Cotanto è l’alma al suo contrario avezza .
Nel seguirti imparai
A tragger guai dolente, anzi à morire.
Per monti, selve, e piagge
Andai misera me sempre piangendo;
L’orme di lui seguendo,
Che già mi fè languire;
E nudrendo nel cor voglie non sagge
De le Fere selvagge
Divenni (ahi crudo Amor) fida compagna.
A l’aperta campagna
Errai la notte, e ’l giorno;
Ogni mio scorno, e doglia à i sassi io dissi,
E ’n mille piante la mia pena scrissi.
Così sperai dolente
Spegner l’ardente fiamma, indi sottrarmi
A morte in simil guisa;
Nè fù per ciò, ch’io respirassi un quanco;
Che non ti vidi stanco
Giamai dal saettarmi;
Anzi da l’alma mia sempre divisa
Fui schernita, e derisa;
Il mal hebbi securo, il ben’ incerto,
E di mia pena il merto
Spietato Arcier fù solo
Tormento, e duolo, e morte; e, ch’altro puoi
Donar fabro d’insidie à’ servi tuoi?
Il premio, c’huom riceve
De la sua greve doglia nel tuo Regno,
Regno solo d’inganni
E di saper, che la sua pura fede
Non habbia mai mercede.
Sotto al tuo giogo indegno
Traggonsi inutilmente i mesi, e gli anni
In così gravi affanni,
Che ’mpossibil sarà, ch’io gli descriva.
L’huom va di riva in riva
Accusando le stelle
Empie, e rubelle; e ’ntanto i sordi venti
Se ne portan per l’aere i mesti accenti.
Amor chiunque disse,
Chiunque scrisse, che del grembo uscisti
De la confusa mole
Fù saggio in tutto, e disse à pieno il vero;
Poscia, che nel tuo ’mpero
Pensier confusi, e tristi
Reggon l’amante, ond’ei s’afflige, e duole.
Altro ne le tue Scole,
Che una confusion d’amare doglie
Non s’impara, ò raccoglie.
Ne le confuse pene
Confusa viene ogn’alma; e dove sei
Empiamente confondi Huomini, e Dei.
Taci Canzon, ch’ogn’un per se conosce,
Ch’à gli affanni, à le angosce,
Ad ogni estrema sorte,
Anzi à morte se n’ corre lagrimando
Chiunque vive mortal cosa amando.