Rime (Alberti)/9
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AGILITTA
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9
AGILITTA
Agilitta, fanciulla molto ornata
d’ogni costume e di gentile aspetto,
da molti chiesta e da molti amata,
solo uno amava, Archilago, e a dispetto
5avea in sé soffrir fiamme amorose,
né so qual grave la premea sospetto.
Dicea: «Felice ninfe che nascose
fra lauri e mirti libere e solette
vivete liete sempre e motteggiose.
10Costì non può Cupido e sue saette
turbar vostro ozio. Beate, beate,
se fra queste ombre Amor mai fiamma immette!
Misere noi, sole sfortunate,
che ’n mille modi Amor ci vince e prende!
15Convienci amar che ci sentiamo amate.
Misere noi! E quanto male offende
nostra quiete! Aimè, qual morte
non sente el cor in cui amor s’incende!
Sospetti e cure sono al petto accorte,
20triste memorie, ardente voglie e piene
di troppi sdegni a ragravar sua sorte.
Furtivo avampa quello ardor che tiene
in noi perpetuo dolor e tristezza,
onde palese pianger ne conviene.
25Nostri concetti in noi non han fermezza;
nostre letizie brevi, rare e false;
nostri diletti mai son senza asprezza.
Troppo felice se mai alcun valse
vincer sé stesso o ben reggersi amando!
30Costui su in cielo fra que’ divi salse.
Io meschina pur seguo aspreggiando
me e chi m’ama, né so ch’io mi voglia:
amo ed ho in odio, e me vivo onteggiando.
I’ resto mai di rinovar mie doglia:
35io dubiosa sempre stimo el peggio:
io fuggo ciò che dal mio mal mi stoglia.
Che furia è questa, se io stessa eleggio
quel che né so né in me posso soffrire?
Tutto conosco, e nel mio mal mi reggio.
40Aimè! aimè! E che giova garrire
pur a me stessi, e pur qui tormentarmi?
Breve rimedio può el mio mal finire:
non dispettare a chi me ama, e darmi
lieta e ioconda a quanto Amor m’accede,
45né fuggir cosa qual s’adatti aitarmi.
Che poss’io altro che amore e fede?
Stolta me, troppo stolta! E che poss’io
cosa aspettar maggior qual mio duol chiede?
Costui me pregia, e sono a lui suo idio:
50questo me serve troppo, e io, doh, il strazio.
Mie colpa, adonque, piango l’error mio.
Iniurio, e mai di vendicar mi sazio;
duolmi se fugge mie stranezze e gare,
ove a seguirmi do mai lieto spazio.
55Non vorrei sanza amor vita, ed amare
quanto te amo, Archilago, mi duole:
duolmi esser vinta e convenir certare.
S’Archilago men ama or che non suole,
e chi n’è altri ch’io cagion? Per tanto,
60stolta chi altri cerca ed ha ciò che vuole.
S’i’ fo che viva per me in doglie e pianto,
che util me ne viene, o qual merto?
Straziar chi me ama dà biasmoso vanto.
Che dirai, Agilitta, adunque? Certo
65s’Archilogo ama me, i’ son superba
sdegnare quel ch’io bramo ed emmi offerto.
Ma che non rest’io omai essere acerba,
e sempre disputar contro a me stessi?
Se m’ama, e’ s’ami; se [mi] serve, e’ si serva.
70E’ piange, io piango anch’io. E s’io credessi
durar più giorni in questi miei tormenti,
non so qual morte io non mi eleggessi.
Agilitta, che fai? Non ti ramenti
quanto ogni cruccio tuo in te sola arda?
75Tu stessa al tuo dolor sempre acconsenti.
E io mi n’abbia il danno, s’io fui tarda
a ravedermi quale io sia suggetta
a quanto ogni mio sforzo aresta e tarda.
Sia quell’ora adunque maladetta
80ch’i’ mai ti vidi, Archilago. Tu sei,
tu, tu quel se’ che la mia morte affretta.
O sfortunata me! Misera oimei!
A che son io, a che son io condutta,
ch’i’ nulla possa in me quanto vorrei?
85Vorrei d’amore amando essere isdutta;
ma non so come in me ogni mia impresa
sol poi dolermi e pentirmi vi frutta.
S’io tengo a me me stessa d’ira incesa,
non però posso, Archilago, odiarti;
90e duolmi ingiuriar chi non m’ha offesa.
Ma come poss’io mai non molto amarti?
Archilago, o tu sei un dio in terra;
in te contende ogni laude ad ornarti.
Anzi, ora è il tempo uscir di tanta guerra,
95e gioverammi adoperar mio sdegno,
ora che cruccio Amor fra noi disserra.
Ah quanto, stolta! aspettar duol m’ingegno,
se io vinta arò poi a pentirmi
di mie parole e di mie lieve ingegno.
100Un guardo, un riso dolce, un sol gradirmi
che Archilago mi porga sì amoroso,
può me d’ogni odio ad amar convertirmi.
Io con mie ingiurie l’ho fatto sdegnoso,
che già suo ingegno sempre fu quieto,
105facile, umano verso me e piatoso.
E io che ’l provo troppo mansueto,
sciocca mai resto, mai, d’ingiuriarlo;
ogni sua grazia a me stessa vieto.
Dovre’ io sì, s’egli ama me, amarlo.
110Ma chi sa qui s’egli ama o e’ mi fugge.
Anzi, me trista, che non so odiarlo.
Ma lascia pur, lasc’ir ch’amor lo strugge.
Amor ti strugge, Archilogo; amore
non men che me, ben veggo, ancor te strugge.
115E che a me s’egli arde? E ’l suo dolore
liev’egli el mio? Sì, leva e m’è conforto
s’altri con meco langue in questo ardore.
Anzi me duol veder quant’io ho el torto
con un mie sdegno tormentar lui e me.
120Così più fiamme al mio seno apporto.
Poss’io far, hen, ch’io non mi sdegni? Che,
contro d’Archilago? Sì, contro te, sì:
e s’tu non ami me, debb’io amar te?
Tutto vedo, tutto odo, ben ch’io stia qui
125sola, deserta. E che poss’io pensare
di poi la notte ch’io te non vidi el dì?
Ed anche i’ ho chi me comincia a amare;
sì, e più d’uno, e begli sì bene.
Mai sì ch’io gli amo: e chi me ’l può vetare?
130Agilitta, Agilitta, e dove ène
in te la fede e intera fermezza?
Qual tu accusi in altri in te dov’ène?
Tu dubiti di lui, ma egli ha certezza
di te palese che tu se’ incostante.
135Ed i’ mi sia: io pur gli do tristezza.
Né ancora sono le sue pene tante
quante le mie, né quanto io gli augurio;
e son le prece di chi ama sante.
Ma stolta, non vegg’io quant’io iniurio
140chi m’ama e me. Resta, Agilitta, omai
di più infuriar. Sì certo io infurio.
Un solo me sospetto tiene in guai,
ch’Archilogo mi pare a troppe grato.
Ma venne amor sanza sospetto mai?
145Ma lui, ove se vede oltreggiato
da me, e scorge ch’io mi profferisco
a questo e a quello, vive adolorato.
E io ingrata che di nuovo ordisco
tutto il dì gare, poi troppo mi pento,
150e piango quanto a vendicarmi ardisco.
Vivi, adunque, in pianto e lamento,
infelice Agilitta,
poi che tu cresci a te stessa tormento.
Oimè, che sdegno ed amor mi gitta
155or su or giù fra mille onde d’errori,
né scorgo ove sie mai mia voglia addritta.
E tu, o Archilogo, de’ miei dolori,
ah, non ti vien pietate. I’ pur t’amo,
e per te sono in me questi mie’ ardori.
160Noi imprudenti ambo e dui erramo,
poi che da troppo amor sospetto nacque,
che l’un troppo dell’altro ci sfidamo.
Dovev’io stolta se in cosa mi spiacque
Archilogo mio, subito avisarlo:
165che lui in pruova so sempre a me piacque.
Né dovev’i’, ben ch’egli errasse, aizzarlo
con mie ingiurie e sdegno a vendicarsi,
ma con dolcezza a molto amarmi attrarlo.
Queste gare fra noi, questo adirarsi
170quanto e’ ci nuoce, trista pur or sento,
poi che indarno mie’ sospiri ho sparsi.
Finiamo, adunque, ogni cruccio e lamento,
Agilitta, o’ sol questo
non declinarmi ad amar m’è tormento.
175Ama, Agilitta, e quanto ha sempre chiesto
Archilogo, si sia
fede e amor fra noi lieto e onesto,
ché un dolce riso ogni tristezza oblia».