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20 rime

     Tu dubiti di lui, ma egli ha certezza
di te palese che tu se’ incostante.
135Ed i’ mi sia: io pur gli do tristezza.
     Né ancora sono le sue pene tante
quante le mie, né quanto io gli augurio;
e son le prece di chi ama sante.
     Ma stolta, non vegg’io quant’io iniurio
140chi m’ama e me. Resta, Agilitta, ornai
di più infuriar. Sì certo io infurio.
     Un solo me sospetto tiene in guai,
ch’Archilogo mi pare a troppe grato.
Ma venne amor sanza sospetto mai?
     145Ma lui, ove se vede oltreggiato
da me, e scorge ch’io mi profferisco
a questo e a quello, vive adolorato.
     E io ingrata che di nuovo ordisco
tutto il dì gare, poi troppo mi pento,
150e piango quanto a vendicarmi ardisco.
     Vivi, adunque, in pianto e lamento,
infelice Agilitta,
poi che tu cresci a te stessa tormento.
     Oimè, che sdegno ed amor mi gitta
155or su or giù fra mille onde d’errori,
né scorgo ove sie mai mia voglia addritta.
     E tu, o Archilogo, de’ miei dolori,
ah, non ti vien pietate. I’ pur t’amo,
e per te sono in me questi mie’ ardori.
     160Noi imprudenti ambo e dui erramo,
poi che da troppo amor sospetto nacque,
che l’un troppo dell’altro ci sfidamo.
     Dovev’io stolta se in cosa mi spiacque
Archilogo mio, subito avisarlo:
165che lui in pruova so sempre a me piacque.
     Né dovev’i’, ben ch’egli errasse, aizzarlo
con mie ingiurie e sdegno a vendicarsi,
ma con dolcezza a molto amarmi attrarlo.

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