Ragguagli di Parnaso (Laterza)/Centuria seconda/Dedica

Dedica

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Centuria seconda Centuria seconda - Ragguaglio I
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ALL’ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO

mio signore e padrone

singolarissimo

IL SIGNOR CARDINALE GAETANO.

È incredibile quanto la facilità della stampa abbia difficultato il negozio dello stampare, perché questa da morte a vita non solo ha risuscitati gli scritti, consumati già dalla vecchiezza e lacerati dal tempo, dei più famosi letterati antichi, ma di cosi gran quantità ha empiuto il mondo de’ nuovi, che gli amatori delle buone lettere con pochi danari hanno potuto provedersi di una molto numerosa supellettile di libri: cosa che ha cagionato che in infinito sia cresciuto il numero de’ virtuosi, dai quali felicemente essendo stata maneggiata la penna, hanno occupati i luoghi tutti dello scrivere anco più curiosi; e perché con la moltitudine delle materie ne’ letterati anzi si accende che punto si estingua la sete che perpetua hanno di sapere, gl’infiniti volumi delle dotte fatiche altrui hanno cagionato che il gusto de’ virtuosi non solo in una soverchia esquisitezza sopramodo si sia alterato, ma ch’abbia prorotto in una inesplebile aviditá di sempre voler cose nuove. Di maniera tale, che in questi tempi presenti quelli che con gli scritti loro vogliono eternarsi nella memoria degli uomini, fa bisogno che navighino fino alle Indie, se alla mensa dei tanto svogliati letterati moderni vogliono portar frutto alcuno che da essi sia ricevuto con [p. 4 modifica] applauso, gustato con piacere. Delle cose politiche e morali seriamente hanno scritto molti begl’ingegni italiani, e bene; con gli scherzi e con le piacevolezze, niuno, ch’io sappia. Questa piazza come vota, questa materia come nuova mi son forzato di occupare e di trattar io, con quella felicitá che dirá il mondo. È ben vero che l’impresa altrettanto mi è riuscita difficile, quanto i piú saggi letterati negocio, se non impossibile, molto arduo almeno hanno sempre provato dilettar con le facezie il lettore e non lo stomacar con le buffonerie; trattar materie alte e servirsi di concetti bassi; parlar di uno e intender di un altro; scoprirsi e non volere esser veduto; dir de’ sali e non inciampar nelle insipidezze; punger con la satira e non mordere con la maledicenza; scherzare e dir daddovero; trattar cose politiche e non offender chi domina; nelle persone degli uomini morti riprender i vizi de’ vivi; con modesto artificio ne’ tempi passati censurar le corruttele del secolo presente, e in un medesimo suggetto far quella gran forza di Ercole, quell’ultima gagliardia dell’ingegno umano, che altrui acquista la vera corona della lode, di mischiar l’utile col dolce. E benché agli uomini circonspetti e zelanti della propria riputazione ninna altra risoluzione apporti spavento maggiore, che venire all’atto tremendo di pubblicar al mondo le proprie fatiche e sottoporle al giudici© universale degli uomini, altrettanto vari ne’ capricci, quanto grandemente severi nelle censure; io nondimeno con animo franco e con sicura speranza di recar onorato grido al nome mio, non giá persuaso dagli amici o comandato da’ padroni, come in somigliante occasione hanno detto molti, ma volontariamente e di mio moto proprio mando questi miei scritti alla luce del mondo, accioché sieno letti dagl’ingegni piú curiosi. Né questa confidenza che tengo di me e delie cose mie, nasce perché io confidi dell’ingegno mio, da me conosciuto meno [p. 5 modifica] che mediocre, piú di quello che si conviene ad un uomo modesto; ma perché, per utili e curiose avendo V. S. illustrissima approvate queste mie vigilie, mi rendo sicuro che non si troverá uomo che non sia per stimare atto di somma temeritá l’ardire di censurarle: prencipe, nel quale l’altezza dell’ingegno, l’esquisitezza del giudicio, la copia di tutte le piú scelte scienze si vede che sono uguali alla grandezza del sangue, alla ricchezza del patrimonio col quale Iddio l’ha fatta nascere in questo mondo, che non solo io, al quale per essere nato servidore l’affezione può abbagliare il giudicio, ma ognuno che l’ode discorrere sopra qualsivoglia materia piú elegante, talmente di V. S. illustrissima rimane ammirato, nonché appagato, che a piena bocca la celebra per uno di quei ben sensati libri vivi, che in poco tempo fanno dotti quelli che hanno fortuna di sentirli ragionare. Miracolo altrettanto maggiore, quanto in questi tempi presenti, ne’ quali la somma felicitá degli uomini vien posta nel posseder molto, non nel saper assai, il veder un prencipe suo pari che veramente meriti il nobilissimo titolo di letterato, è tenuto portento rarissimo, mostro di natura singolare: e pur V. S. illustrissima fino dalla sua prima fanciullezza cosí sempre ha sudato per fare acquisto delle virtudi, e cosí vi si affatica ora, come se queste avessero dovuto essere il suo piú ricco patrimonio, e ora le acquistassero non solo il vitto, ma la riputazione. Ma, ritornando agl’interessi miei, son forzato palesar a V. S. illustrissima certo scrupolo che alcuna volta mi nasce nell’animo, il quale grandemente mi fa dubitare della certezza dell’esito felice di queste mie fatiche: ed è ch’Ella, di sicurissimo giudicio nella censura di qualsivoglia sorte di composizione, facilmente si sia potuta ingannare nelle cose mie. Grande appresso di me è la ragione che cosí m’induce a dubitare, perché nella lunga pratica ch’io ho di lei, piú volte mi sono avveduto [p. 6 modifica] ch’Ella di modo svisceratamente si affeziona a que’ suoi amorevoli che conosce innamorati delle virtú, che la passione dell’amore fino ha operato che nelle cose loro Ella non ha vedute quelle imperfezioni che esquisitamente averebbe notate nelle altrui. Ma, quando da questa soprabbondanza di amore di V. S. illustrissima verso me e le cose mie debba nascere il mio biasimo, mi rendo certo che quegli a’ quali queste mie fatiche capiteranno nelle mani, di modo rimarranno maravigliati dal vedere che in questa etá, nella quale vivono molti uomini segnalati che fino sono giunti alla vergogna di farsi idoli persone ignorantissime, se ne truovi uno che sia giunto alla virtú di talmente perdersi nell’amare i seguaci delle buone lettere, che a me abbia tollerata l’arditezza di metter in compromesso la riputazione di un suo pari per salvar la mia, che magnificheranno l’eccesso di V. S. illustrissima ed iscuseranno gli errori miei. Accetti V. S. illustrissima con la solita sua benignitá il picciol dono di questi miei sudori che ora le porge l’animo mio grande; e consenta che incontro ai gravissimi debiti ch’io ho con esso lei, possa notar questa picciola partita a credito mio. Il che le chieggo non giá per desiderio ch’io abbia di disobbligarmi da lei, ma per gustar la dolcezza che sentono gli onorati servidori, quando verso i benefici padroni loro esercitano la tanto lodevole virtú della gratitudine. Prosperi Iddio lungo tempo la persona di V, S. illustrissima, alla quale con ogni riverenza bacio la mano. Da Venezia, li 21 di settembre mdcxiii.

Di V. S. illustrissima e reverendissima

umilissimo e obbligatissimo servidore

Traiano Boccalini.