Questioni sull'Ottima Repubblica ossia sulla Città del Sole/Articolo primo
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QUESTIONI
SULL'OTTIMA REPUBBLICA
ARTICOLO PRIMO.
Se a ragione e utilmente si sia aggiunta alla dottrina politica il dialogo della Città del Sole.
Più difficoltà militano contro la ragionevolezza e l’utilità di una tal repubblica.
1.° Di ciò che non esistette mai, nè esisterà, nè si spera che esista, è inutile e vano l’occuparsene; ma un simile modo di vivere in comune affatto esente di delitti è impossibile, nè mai si è veduto, nè si vedrà, dunque inutilmente ci siamo di esso occupati. Argomento che Luciano usava contro la repubblica di Platone.
2.° Questa repubblica non può sussistere che in una sola città, non in un regno, poichè non si possono trovare luoghi affatto simili, adunque o sarà corrotta dai popoli soggetti, dal commercio, o dalle sedizioni che nasceranno contro una maniera di vivere sì austera.
3.° Questa repubblica vien immaginata ottima e che duri, per sempre; ella prima non potrà durare per sempre perchè necessariamente essa dovrà corrompersi alla fine, o essere invasa dalla peste pel lungo domicilio non essendo purificata dal vento, dalla guerra, dalla fame, dalle bestie feroci, se mai potrà sfuggire alla tirannia interna, o infine dal troppo numero dei cittadini, come diceva Platone della sua repubblica. Secondo, non potrà essere ottima poichè necessariamente vi saranno dei delitti come dice l’apostolo: si discessimus quia peccatum non habemus, ipsi nos seducimus, e parimenti Aristotile prova che la comunanza dei beni utili e delle mogli fa viziosa una repubblica contro Platone, e quando ci sembra aver sfuggito un male ne incontriamo una moltitudine.
4.° Quel modo di vivere è più secondo natura che è provato dall’uso di tutte le nazioni: ma il nostro è rigettato da tutte, dunque inutilmente e leggermente ne abbiam tenuto discorso.
5.° Nessuno vorrebbe vivere sotto leggi ed osservanze così severe e sotto tutela dei pedagoghi e questa repubblica sarebbe rovesciata dagli stessi cittadini, come addivenne a molti ordini religiosi viventi in comunità.
6.° È naturale agli uomini lo studiare le opere di Dio, il viaggiare pel mondo, cercare dovunque le scienze, far esperienza di tutto; ma gli abitanti di una tal repubblica sarebbero come i monaci che non studiano che sui libri, e quando intendono qualche cosa che in essi non si trova si scandalizzano e si conturbano; come ora appena credono alle osservazioni di Galileo, e anteriormente che Colombo avesse trovato un nuovo emisfero, perchè S. Agostino lo nega.
Ma, rispondendo prima in generale, in nostro favore sta l’esempio di Tommaso Moro, martire recente, che scrisse la sua republica Utopia imaginaria, sul cui esempio noi abbiamo trovate le istituzioni della nostra; e Platone parimente presento un’idea della repubblica, che sebbene, come dicono i teologi, nella natura corrotta non può essere in tutte le parti posta in pratica, pure nello stato d’innocenza avrebbe ottimamente potuto sussistere, e Cristo appunto ci richiama allo stato d’innocenza. Aristotile istituì nello stesso modo la sua repubblica e molti altri filosofi. I principi parimente promulgano leggi che credono esser ottime; non perchè s’imaginino che nessuno le trasgredirà, ma perchè pensano che faranno felice chi le osserva. E S. Tommaso insegna che i religiosi non sono tenuti sotto pena di peccato ad osservare quanto vien prescritto nella regola, ma solo le cose più essenziali, quantunque sarebbero più felici osservandole tutte: devono vivere secondo la regola cioè adattare per quanto possono comodamente la loro vita alla regola. Mosè promulgò leggi date da Dio e istituì un’ottima repubblica, e finchè gli Ebrei vissero a norma della medesima fiorirono; quando poi non ne osservarono le leggi decaddero. Così i retori stabiliscono le ottime regole di un buon discorso privo di ogni difetto. Così i filosofi imaginano un poema senza pecca, e tuttavia alcun poeta non sfugge ogni pecca. Così i teologi descrivono la vita dei santi, e nessuno o pochi di loro la imita. Qual nazione poi o qual individuo potè imitare la vita di Cristo senza peccato? Furono per questo scritti inutilmente gli Evangeli? non mai: ma perchè facciamo ogni sforzo per accostarci il più che possiamo ai medesimi. Cristo stabilì una repubblica eccellentissima, priva d’ogni peccato che gli apostoli appena osservarono intieramente, poi dal popolo passò al clero, e finalmente ai soli monaci; e in questi ora persevera in alcuni, negli altri poi vedi ben pochi istituti conservarsi in armonia colla medesima. — Noi poi presentiamo la nostra repubblica non come data da Dio ma come un trovato filosofico e della ragione umana per dimostrare che la verità del Vangelo è conforme alla natura. Che se in alcune cose ci scostiamo dal Vangelo, o sembriamo scostarci, ciò non si deve ascrivere ad empietà, ma alla debolezza umana che priva di rivelazione pensa molte cose essere giuste, che al lume della medesima non sono tali, come diremo della comunità dei matrimoni; e per questo abbiamo supposta la nostra repubblica nel gentilesimo che aspetta la rivelazione di una vita migliore, e vivendo secondo i dettami della ragione merita di averla. Quindi sono come catecumeni della vita cristiana; perciò dice Cirillo contro Giuliano: che ai gentili fu data la filosofia come catechismo per la fede cristiana. Noi poi ammaestriamo i gentili perchè vivano rettamente se non vogliono essere abbandonati da Dio, e persuadiamo i cristiani che la vita di Cristo è conforme alla natura prendendo da questa repubblica l’esempio, come S. Clemente romano dalla repubblica socratica, e come fecero e il Grisostomo e S. Ambrogio.
Egli è poi chiaro come con questa maniera di vivere vengano tolti tutti i vizi, poiché nè i magistrati hanno ragioni di ambire i posti, e tutti gli abusi che nascono, sia dalla successione, sia dall’elezione, sia dalla sorte, stabilendo noi una specie di repubblica come quella delle grue e delle api celebrate da S. Ambrogio; così pure vengono tolte le sedizioni dei sudditi, che nascono sia dall’insolenza dei magistrati, sia dalla licenza di questi, o dalla povertà, o dalla troppa abbiezione ed oppressione.
Così tutti i mali che nascono dai due opposti, dalle ricchezze e dalla povertà, e che Platone e Salomone considerano come l’origine dei mali della repubblica: cioè l'avarizia, l’adulazione, la frode, i furti, la sordidezza dalla povertà: la rapina, l'arroganza, la superbia, l’ostentazione, l’oziosità, ecc., dalle ricchezze.
Così si distruggono i vizi che nascono dall’abuso dell’amore, come gli adulteri; la fornicazione, la sodomia, gli aborti, la gelosia, le discordie domestiche, ecc.
Così i mali che procedono dal troppo amore dei figli o delle consorti; e la proprietà che tronca, come dice Sant’Agostino, le forze della carità, e l’amor proprio cagione di tutti i mali, come dice Santa Caterina in un dialogo; da lui l’avarizia, l'usura, l'illiberalità, l’odio del prossimo, l'invidia verso i ricchi e i grandi; noi accresciamo l’amore della comunità e togliamo gli odj che nascono dall’avarizia, radice di ogni male, così le liti, le frodi, le false testimonianze, ecc.
Così tutti i mali del corpo e dell’anima che nascono o dal troppo lavoro nel povero, o dall’ozio nei ricchi, mentre da noi si scompartono le fatiche egualmente.
Così i mali che vengono dall’ozio nelle donne, e che corrompono la generazione e la salute del corpo e dello spirito, mentre noi le occupiamo di esercizi e delle virtù ad esse confacenti.
Così i mali che nascono dall'ignoranza e dalla stoltezza, mentre nella nostra repubblica si vede tanta esperienza di dottrina in ogni cosa, e nella stessa fabbrica della città, ove con imagini e pitture a chi solo vi riguardi si insegnano tutte le scienze quasi in un modo storico.
Così vien provveduto meravigliosamente contro la corruzione delle leggi.
Finalmente siccome abbiamo sfuggito in ogni cosa gli estremi e ridotto tutte le cose a giusto mezzo, in cui sta la virtù, non può imaginarsi una repubblica più felice e più facile. E finalmente tutti i difetti che si sono notati nelle repubbliche di Minosse, di Licurgo, di Solone, di Caronda, di Romolo, di Platone, di Aristotile e di altri autori, nella nostra repubblica, a chi ben vi guarda, non vi si trovano, e felicemente si è provveduto a tutto, poichè essa è dedotta dalla dottrina delle primalità metafisiche, colle quali nulla vien negletto od ommesso.
Ora alla prima difficoltà si è risposto che se non si può raggiungere esattamente l’idea di una tal repubblica, non per questo si è scritto inutilmente, mentre si propone un esemplare da imitarsi per quanto si può. Ma che essa sia pur possibile lo mostra e la vita dei primi cristiani in cui la comunanza fu stabilita sotto gli apostoli secondo testifica S. Luca e S. Clemente. E in Alessandria si è osservato l'istesso modo di vivere sotto S. Marco, come testifican Filone e S. Girolamo. Tale fu la vita del clero fino ad Urbano I ed anche sotto S. Agostino; e tale ora è la vita dei monaci, che S. Grisostomo desidera, come possibile, introdotta in tutta la città di Costantinopoli, e che io spero doversi in futuro realizzare dopo la ruina dell’Anticristo, come ne’ miei profetali. Chi poi aristotelizzando la nega, è però costretto ad ammetterla possibile nello stato di innocenza, sebbene non di presente. Ma i padri la suppongono praticabile anche ora, poichè Cristo ci ha ridotti a quel primo stato. E mentre Luciano, gentile e ateista, deride Platone per aver imaginato una repubblica impossibile, S. Clemente, Ambrogio e Grisostomo lo lodano, e questi per dottrina e per santità sono bene da anteporsi a mille Luciani.
Alla seconda obbiezione. Noi abbiamo per questo attribuito un tal modo di vivere solo alla capitale. I villaggi poi imiteranno un tal modo o in parte, o nel tutto, quando più di essi si uniranno a formare una provincia. Luoghi adatti poi si troveranno facilmente, e dove manchino varieremo la forma, in modo che nel più alto del monte sia il capo della città, nelle appendici semicircolari poi le abitazioni, e al piano il nostro modello sarà pur buono, se non vi si oppone il fango, che si può schivare selciando le vie e scavando acquedotti. Perchè poi gli abitanti non siano corrotti dal commercio si è provveduto nel testo coi magistrati a ciò deputati, ed a fuggire le sedizioni esterne valgono le rocche ben munite della metropoli e le milizie che percorrono di continuo per la difesa dell’impero, e più la probità della città dominante, il servire alla quale è una felicità come per gli ignoranti è bene servire al sapiente e al probo e più coll'opinione di probità che alla forza Roma accrebbe l’impero, e sotto Pompilio stimarono nefando usare dei mezzi contrari alla virtù contra i nemici.
Alla terza obbiezione. Essa durerà fino ad uno dei periodi generali delle cose umane che dan origine ad un nuovo secolo. Poichè quanto alla peste, alle fiere, alla fame, alla guerra, abbiamo provveduto ottimamente per quanto si può colla virtù o almeno assai meglio di quel che si soglia fare altrove, poichè i venti per le quattro vie maggiori purgano la città, e dove sono impediti dalle case suppliscono le finestre, poste in modo da chiudersi alle cattive esalazioni e da aprirsi alle salubri. Quanto al numero degli abitanti vedi la metafisica. Dico questa essere una via ottima e di cui si deve più aver cura che della durata. Certo vi saranno dei peccati, ma non gravi, come negli altri Stati o almeno non tali che ruinino la repubblica come risulta dagli ordini stabiliti. Ciò poi che Aristotile obbietta ad una tale repubblica verrà sciolto nei susseguenti articoli.
Alla quarta obbiezione. Dico che tal repubblica, come il secolo d’oro, vien da tutti desiderata e chiesta da Dio quando si domanda che la sua volontà sia fatta così in cielo come in terra. Non vien però praticata per la malizia dei principi che a sè non ali'impero della somma ragione sottomettono i popoli. Dall’uso poi e dall'esperienza è provato essere possibile quanto abbiam detto; come è più secondo natura il vivere conforme alla ragione che all'affetto sensuale, e virtuosamente di quel che viziosamente, secondo Grisostomo. E i monaci sono di ciò una prova, e ora gli anabatisti, che vivono in comune, che se ritenessero i veri dogmi della fede più profitterebbero in questo modo di vita; e volesse il cielo che non fossero eretici, e praticassero la giustizia come noi professiamo: che sarebbero un esempio della sua verità; ma non so per qual stoltezza rifiutano il migliore.
Alla quinta obbiezione. Ella è anzi una somma felicità il vivere virtuosamente, come dice Grisostomo, e dove commettendo errore sei tosto corretto, avanti che sopporti gli effetti dell'errore. La licenza è causa dei mali, ed è felice quella necessità che ci sforza al bene. Ma, a noi avvezzi al male, sembra duro questo genere di vita, come ai giuocatori e ai discoli la vita dei buoni cittadini: e a questi la vita dei monaci. Ma provate, e vedrete i religiosi non mai per la severità della disciplina si rivoltano, ma se avviene è pel commercio dei laici, per l’ambizione degli onori e l’amore della proprietà o per libidine, ma nella nostra repubblica si è provveduto e sfuggito tutte queste cagioni. Dunque non prova l’esempio di quelli.
Alla sesta obbiezione. Noi anzi cerchiamo di far tesoro per la nostra repubblica delle osservazioni dell’esperienza, della scienza di tutta la terra, e a questo fine abbiamo stabilito peregrinazioni, comunicazioni di commercio e ambasciate. Nè i monaci si privano di questi beni mutando spesso città e provincia, nè l'ignoranza dell’esperienza si dà a vedere nei migliori monaci, ma solo nei volgari. Le loro querele poi giovano perchè meglio si discutono le cose, e si rischiarano, e alla fine si acquietano pure tutti i virtuosi. E tu non troverai che in alcun luogo più si sia fatto per la dottrina e la conservazione delle scienze che negli ordini dei monaci e dei frati. E i monaci antropomorfiti, insorti contra Origene ad istigazione del maligno Teofilo patriarca, non ottennero nulla dopo un esatto esame. Ma è chiaro che tali sedizioni non avverranno nella città del Sole. Il monachismo è stato ritrovato per l’aumento della santità e della scienza, non per rendere pesante la sudditanza, come pretendono gli ipocriti.