Protesta del popolo delle Due Sicilie/Capo IV
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CAPO QUARTO
IL GOVERNO.
Ed i Ministri i quali compongono tutto il governo sono malvagi o stolti.
Presidente dei Ministri è il Marchese di Pietracatella, uomo di mani nette, di sapere poco, storto e gesuitico, d’indole fiera: amico della tiranide più che del tiranno, vorrebbe risuscitare i baroni e il Santo Uffizio, e, non potendo, rodesi e stassene lungi degli affari maledicendo il progresso e il commercio; incapace di far bene, o non fa nulla, o fa il male.
Ministro di polizia è Francesco Saverio Del Carretto, sbirro carbonaro nel 1820; sbirro lacero e supplicante in sala di Federico Guarini che lo scrutinò nel 1822; sbirro a Bosco nel 1828 e Marchese; sbirro Ministro nel 1831; sbirro a Siracusa nel 1837; ed ora sbirro di quarantamila ducati di rendita l’anno.
Il Ministro dell’interno Niccola Santangelo è un civettino che ha la boria di saper di tutto, dottissimo solo in rubare.
Ferdinando Ferri, antico liberale del 99, ha vergogna di esser ricordato per tale da suoi primi amici, e non si vergogna di rappresentare il Ministro delle Finanze; stupido e birbone egli vien chiedendo di tanto in tanto la sua dimissione ed invece ottiene dal munificentissimo Principe nuovi doni e concessioni.
Il Ministro di grazia e giustizia, Niccola Parisio è un buon legale, ed ottimo latinista, ma un uomo debole che non sa negar nulla a suoi colleghi, i quali gli fanno nominar magistrati le spie, i lenoni, gli sfacciati.
Il Ministro degli affari esteri, Principe di Scilla Fulco Ruffo di Calabria, è un grosso pezzo di carne aggomitolato, che parlando balbetta e spruzza saliva, e non sa far altro che spensieratamente spetezzare.
Ministro degli affari ecclesiastici è il divoto Principe di Trabia Giuseppe Lanza, il quale non manca di principii generosi, ma la cui vita non è che un continuato banchetto.
Del ministero della guerra e marina è Direttore il generale Giuseppe Garzia: il Re n’è Ministro.
In Sicilia è luogotenente generale Luigi de Maio, il più codardo di quanti mai cingono spada, scelto dal Re non per governare, ma per insultar la Sicilia, e svergognare la maestà investendone un tristo vigliacco. Prima del De Maio i Siciliani ebbero a soffrire i capricci, le lascivie, e gli oltraggi di Leopoldo conte di Siracusa, uno de tristi fratelli del Re. Da questi otto Ministri è composto il Consiglio di Stato, e da altri ancora i quali non hanno un carico particolare, e si dicono Ministri senza portafoglio. Questi sono: Giustino Fortunato, iena ferocissima ed insaziabile; Niccola Niccolini, uomo doppio che ha scritto secondo ragione ed opera secondo vuole il Re: il Principe di Campofranco, il Principe di Comitino, il Duca di Laurenzano, il generale Saluzzo.
I primi Ministri son gelosi dei secondi: i secondi tentano screditare i primi; il Re li conosce e disprezza tutti: tutti disprezzano lui. Gli affari gravi si propongono in Consiglio di Stato il quale è fatto così. I Ministri si radunano, cominciano a proporre e discutere, il Re sbadiglia, e dopo dice: seguitate voi, che io vado a far colezione. Quando gli piace torna fumando un sigaro: quelli parlano, ei passeggia e fuma; poi dice al suo segretario: prendi tu le carte, che vedrem noi questo affare. I Ministri avviliti, arrabbiati, stanchi dopo molte ore, affamati, non ristorati nemmeno da una tazza di caffè, escono dal Consiglio come vipere calpestate. Gli altri affari si decidono nel Consiglio dei Ministri; ma la maggior parte vien decisa dall’arbitrio di ciascun Ministro, che non bada nè agli altri nè al Re; e se il Re gli manda le suppliche decretate, ei se ne ride; onde i miseri supplicanti balzati dal Re ai Ministri, e dai Ministri al Re, gridano invano e cercano giustizia, la quale si patteggia e si vende dai capi di dipartimenti e dagli impiegati. Il Re lo sa, e talvolta vorrebbe sdegnarsi contro un Ministro, ma da una parte la politica e la paura lo consigliano a non far mutamenti, dall’altra parte lo rabbonisce Monsignore. Monsignore non entra, ma è nel Consiglio di Stato, dove egli, il Del Carretto, e il Santangelo possono e fanno tutto: osceno triumvirato di un frate, di un birro, di un ladro.
Fra tutti questi Ministri non v’è nemmeno la concordia degli assassini, chè tra loro si conoscono, si odiano, s’insidiano: il Re li tiene uniti per forza, e crede che quanto più sono nemici fra loro, tanto più son fedeli a lui e zelanti. Se un di essi propone il bene, gli altri per malvagità gli si oppongono e lo fanno comparire un male; se propone un male, gli altri divengono virtuosi e l’impediscono; onde non si fa nè il bene nè il male. Ma ognun d’essi nel suo ministero fa quello che ei vuole: Del Carretto neroneggia, Santangelo ladroneggia, Ferri risparmia, Parisio sogna giustizia, il Re recita orazioni, Monsignore apre le porte del cielo e della terra. Adunque non è maraviglia se il consiglio di Stato è nulla; se il governo è fiacco, disordinato, ridicolo, balordo, logicamente tirannico, vergognoso per gli oppressori e per gli oppressi.
La Consulta Generale del regno è un tribunale fatto a pompa: il Re ed i Ministri le mandano gli affari che vogliono, la Consulta dà il suo parere, il quale spesso è nulla, e serve soltanto a rendere gli affari lunghissimi ed interminabili.