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ore, affamati, non ristorati nemmeno da una tazza di caffè, escono dal Consiglio come vipere calpestate. Gli altri affari si decidono nel Consiglio dei Ministri; ma la maggior parte vien decisa dall’arbitrio di ciascun Ministro, che non bada nè agli altri nè al Re; e se il Re gli manda le suppliche decretate, ei se ne ride; onde i miseri supplicanti balzati dal Re ai Ministri, e dai Ministri al Re, gridano invano e cercano giustizia, la quale si patteggia e si vende dai capi di dipartimenti e dagli impiegati. Il Re lo sa, e talvolta vorrebbe sdegnarsi contro un Ministro, ma da una parte la politica e la paura lo consigliano a non far mutamenti, dall’altra parte lo rabbonisce Monsignore. Monsignore non entra, ma è nel Consiglio di Stato, dove egli, il Del Carretto, e il Santangelo possono e fanno tutto: osceno triumvirato di un frate, di un birro, di un ladro.

Fra tutti questi Ministri non v’è nemmeno la concordia degli assassini, chè tra loro si conoscono, si odiano, s’insidiano: il Re li tiene uniti per forza, e crede che quanto più sono nemici fra loro, tanto più son fedeli a lui e zelanti. Se un di essi propone il bene, gli altri per malvagità gli si oppongono e lo fanno comparire un male; se propone un male, gli altri divengono virtuosi e l’impediscono; onde non si fa nè il bene nè il male. Ma ognun d’essi nel suo ministero fa quello che ei vuole: Del Carretto neroneggia, Santangelo ladroneggia, Ferri risparmia, Parisio sogna giustizia, il Re recita orazioni, Monsignore apre le porte del cielo e della terra. Adunque non è maraviglia se il consiglio di Stato è nulla; se il governo è fiacco, disordinato, ridicolo, balordo, logicamente tirannico, vergognoso per gli oppressori e per gli oppressi.

La Consulta Generale del regno è un tribunale fatto a pompa: il Re ed i Ministri le mandano gli affari che vogliono, la Consulta dà il suo parere, il quale spesso è