Protesta del popolo delle Due Sicilie/Capo III

Capo III

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CAPO TERZO


RE FERDINANDO.


Dei nostri mali è sola cagione il governo, e del governo è capo re Ferdinando II. Questo principe è uno stolto, un prosuntuoso, un avaro, un superstizioso, vero tipo dei Borboni, stupidamente crudeli e superbi. Inetto ad ogni cosa, vuol fare ogni cosa, e la guasta; sdegnasi di consigli, incapace di farsi un amico, si fa disprezzare anche da quei pochissimi ai quali fa bene.

Dato da fanciullo in mano di sciocchi preti, educato dall’Olivieri, mostrava nei puerili trastulli la ferocità del cuore; perocchè in Portici ei godeva di gittare i conigli vivi al leone, e a mirare come li sbranava. Fatto re prima di radersi la barba (e tanto si rase e raschiò finchè gli venner fuori i peli ed il senno), si persuase che egli è di natura superiore alla nostra povera natura umana: 1 [p. 14 modifica]che può e sa far tutto da sè; che i sudditi suoi debbono essere felicissimi, e però non vuole nemmeno ascoltarli. Chi desidera un’udienza del re deve primamente affaticarsi per parlare ad un ciamberlano, al quale deve dichiarare in iscritto quello di che vuol pregare il sovrano: il ciamberlano ti destinerà per la quarta, la sesta, la nona udienza, chè non più di sessanta persone sono ammesse in ognuna. Ma potrai una volta parlare al re? Ai primi giorni dell’anno il re è in Caserta e bada al real presepe e a festeggiar l’arrivo dei Magi: a Carnevale son feste e balli e non si pensa ad affari e malinconie: a quaresima il re ascolta prediche, sermoni, esercizi spirituali: a Pasqua si fa il precetto e pensa all’anima: dipoi pensa un pò al corpo e vassene a Castellammare: dipoi va a correre la Sicilia dove non ode nessuno che non è siciliano; torna di là e scordasi dei siciliani, e pensa all’esercito, alla mostra per la festa di Piedigrotta, a mandare i soldati alle stanze; e rieccoci al Natale ed al presepe. Negli intermedi ora visita le chiese, ora i soldati, ora riceve principi forestieri, ora non ha voglia di far niente; sicchè in tutto un anno appena resta tempo per quattro o cinque udienze, che non durano più di un’ora. Taluno fatto ardito dal bisogno lo investe per le vie: oggi chi tenta di turbar gli ozi divoti di Caserta è preso dai gendarmi. Una donnicciuola che nella strada di S. Lucia si avvicinò troppo alla veloce carrozza sentì spezzarsi le gambe dalle ruote, ed a questo prezzo ottenne quel che chiedeva. In Castellammare un uomo si cavava dal petto una supplica per dargliela, ei pensò fosse un pugnale, lo fece stramazzare e sfracellar dai cavalli. Nè resta gran tempo ai consigli di Stato; onde le faccende vanno a rovina, e chi dalle lontane province viene in Napoli per suoi affari, vi spende tutto il suo, agonizza otto o dieci mesi per parlare al re, e se ha la fortuna di parlargli, non ode altro che una voce chioccia che gli risponde bene, bene, e le cose [p. 15 modifica]andran male, ed ei se ne tornerà più oppresso ed arrabbiato che quando era venuto. Mentre i popoli gridano, i ministri tiranneggiano; egli stassene in una beata stupidità, e gli pare di esser sapientissimo.

Ma fosse pure uno stolto, e non corrompesse e guastasse con la sua prosunzione ogni condizion di persone. Egli si è persuaso che tutti i sudditi son cattivi e ladri, che non giova torre d’impiego un satollo per mettervi un affamato, e che i più ladri e più ribaldi sono i più fedeli al trono: sicchè tutte le persone che reggono le cose del regno sono o stupidi o malvagi, perchè, secondo il senno di Ferdinando, i primi non sanno rubare, i secondi son fedeli e sazii, e non rubano tanto. Egli non dubita scherzando di domandare ad un ingegnere quanto ha avuto di sottomano in un’opera; e un dì essendo a Caserta seguito da Ministri, tra i quali il Santangelo, che ha fama di ladro, ei non si vergognò di mettersi le mani dietro, e dire ridendo: signori miei, guardiamoci le tasche. Questa stupida persuasione è la cancrena che divora tutto il regno, è la causa vera e prima di tutti i nostri mali. Quando i ladri non solo sono sofferti, ma premiati, tutti si sforzano di rubare. E tra otto milioni di uomini non vi sarebbero anche un dieci persone dabbene? E non dovrebbe un re cercarle ed adoperarle in vece di quella gente trista, ignorante, fecciosa, che forma il nostro governo? E se anche tutti son malvagi un buon principe li forma buoni col terrore, essendo tirannicamente giusto, facendo impiccar per la gola un ministro che ha fatto un’ingiustizia, ha spogliato un cittadino. Dà quest’esempio, e vedrai che anche un popolo corrottissimo, anche un popolo di Ferdinandi diventerà buono, prima per paura, poi per uso, infine per educazione e per sentimento. La stoltezza di questo re Sacripante ha corrotto anche l’esercito che è il suo prediletto trastullo; perocchè egli dando dell’asino e del ladro agli uffiziali pubblicamente, [p. 16 modifica]ha rotta la disciplina militare, per modo che in meno di dodici anni diciassette uffiziali sono stati uccisi da soldati; il che parrebbe gran maraviglia se fosse accaduto negli eserciti numerosi di Francia o di Austria o di Russia. Nè il soldato può rispettare vecchi colonnelli e generali che furono capi di briganti e servitori, ignorantissimi, bravi solamente nelle parole. Insomma questo prosuntuoso crede saper di tutto e vuol fare tutto; ma non sa nè fa niente; si veste in mille guise e si crede ora un valente capitano di terra, ora un forte lanciere, ora un intrepido ammiraglio, ed ora anche un dotto architetto. L’architettura poi è tutta cosa sua; corregge a suo modo i progetti, fa murare e smurare a suo talento; la fabbrica vien meno, ed ei rimprovera l’architetto. Se questi non fosse un re, sarebbe un buffone da far ridere, o uno sciagurato da far pietà.

A lui ogni anno ciascun ministro porta i risparmi fatti nel suo ministero. Questi risparmi sono pensioni e soldi non pagati per impieghi vacanti, gratificazioni che si negano o si scemano a coloro che han fatti lavori straordinarii. Gli impieghi vacanti non si fanno occupare giammai, vi si mettono interini con la metà del soldo, l’altra metà si risparmia; e intanto moltissimi minuti impiegati che per molti anni hanno avuto un sottilissimo soldo, e che sperano di crescerlo di due, tre, quattro ducati al mese, si veggono tolto quell’aspettato e misero tozzo, che vien dato al Re. Il Re accetta in buona coscienza il regalo dai suoi fedeli Ministri (i quali ritengono prima qualche cosetta per loro); e mille famiglie piangono, e centomila poveri t’investono per le vie, gridano il giorno e la notte, vengono a picchiarti la porta, ti mostrano in ogni parte la miseria e lo squallore di una nazione assassinata. Son dieci anni che non v’è Ministro della Guerra e Marina, e re Ferdinando ha ritenuto per sè quell’ufficio ed il soldo, credendo che nessuno meglio di lui conosca [p. 17 modifica]le cose della guerra, e volendo che nessuno abbia quei grassi guadagni che sono in quel ministero. Nel conto delle spese del regno è segnato un milione e mezzo di ducati per la marina ogni anno; di questi si spende poco più della metà, il resto se lo prende il Re, il quale regala ottocento ducati agl’impiegati che gli fanno il conto segreto: gl’impiegati si spartono il regalo; colui che fa veramente il conto è un impiegatello che ha sei ducati il mese e non conosce l’importanza del lavoro che fa. Conoscendo questa sozza avarizia del Re i provveditori del l’esercito (fornisori) signori Montuoro e Falanga gli portano ogni anno un dieci o dodici mila ducati dicendo che sono risparmii da essi fatti. Il Re loda questi buoni provveditori, e dice che i soldati son trattati benissimo. Se compra, se dona, se fa contratto qualunque, mostra un’avarizia così vile e sozza che farebbe vergogna ad un usuraio. Ed in questo è ben secondato dalla tedesca grettezza della superba moglie, la quale, volendo fare un regalo all’arciduca Federico suo fratello venuto in Napoli, si fece portare alcune merci da un ricco merciaio chiamato Germain; contese lungamente sul prezzo, come una femminella, infine si accordarono: dopo un’ora la Regina mandò un servitore dal Germain dicendogli che il Re aveva veduto le merci, che le eran care, che o dovesse rilasciar qualche altra cosa o se le riprendesse. Ognuno conosce questa fetida avarizia del Re, ed ognuno propone risparmii, ed è certo che la sua proposta è approvata dal Re che corre ad ogni piccolo guadagno. In somma il Re permette le frodi e le ladronerie più sfacciate purchè chi le fa sappia dargliene una parte con colorato pretesto. Così fanno i Ministri, così fanno tutti gl’impiegati, e la nazione lacerata, spogliata, affamata, grida invano e cerca giustizia dal coronato ladrone che è il primo suo assassino.

Intanto egli fa tutto in buona coscienza, ogni mattina [p. 18 modifica]ascolta la messa, non mangia carne nè il Venerdì nè il Sabato, se vede un’immagine della Vergine o de Santi si sberretta, se ode pronunziare il nome di Dio s’inchina, recita l’angelus tre volte il giorno. Un dì mentre dava del ladro e dell’ignorante ad un valente ed onesto architetto, suona la campana di mezzodì, ei si leva il cappello, mormora alcune preci, e piamente segue con più forza il rabuffo. Ogni dì vuol vedere il suo fedel confessore Celestino Cocle, arcivescovo di Patrasso, frate di S. Alfonso, e consigliarsi con lui; ed ogni sera su tre seggioloni seggono Monsignore in mezzo con una lunga corona in mano, il Re dall’un lato, la Regina dall’altro, e recitano il rosario, le litanie, ed altre orazioni. Finite le quali, quel manigoldo carezzando familiarmente la Regina le dice: statti bona, santarella; e vassene a trovare una sua figlioccia, che è figliuola di un tal Passaco, suo compare e cagnotto. Questo monaco furbo tiene ambe le chiavi del cuor di Ferdinando, e le volge a suo talento; gli fa credere che è inspirato da S. Alfonso, che ei lo vede in sogno, che ei dice quello che il Santo gli detta: la buona pasta del Re l’ascolta e l’ubbidisce in ogni cosa. I messinesi stanchi delle ruberie e delle estorsioni del loro Intendente G. de Liguoro, mandarono alcuni cittadini al Re per accusarlo: il de Liguoro mandò anch’egli le sue ragioni chiuse in un sacchetto d’oro a Monsignore. Il Re saputo ogni cosa comanda che l’Intendente sia destituito, poi lo dice a Monsignore il quale l’approva dicendo; che è ben fatto, perchè i cattivi impiegati fanno sdegnare i popoli, odiare il Re, nascere rivoluzioni. Stato un poco in silenzio, esclama: O santo Alfonso de Liguoro, potevi mai credere che un tuo nipote avesse fatto queste cose? e che ora senza impiego, desiderando un tozzo di pane co’ suoi figliuoli si ridurrà alla miseria? Il Re come percosso dal fulmine: Ah! Monsignore, dice, che m’avete fatto ricordare? Un nipote di S. Alfonso non deve aver questo scorno: [p. 19 modifica]per gloria del Santo si soffra ogni cosa. L’Intendente è ancora a Messina e ruba sicuramente, difeso da due gran protettori, lo zio in cielo, e Monsignore in terra.

Monsignore mantiene i Ministri, dà gl’impieghi, fa negozii, bada a preti, a frati, a tutti; Monsignore è re, e suoi ministri sono il fabbricatore Passaro, ed il carrozziere De Martino. Questi trattano gli affari, danno udienza in casa loro, e vendono la loro protezione a magistrati, militari, donne, nobili, preti, frati, e a tutti coloro che han molti denari. Si ha fatto costruire nel convento dove egli abita un appartamento tanto bellissimo e riccamente addobbato che il Re stesso ne rimase scandalezzato. Ha fatto venire certi villani di Puglia suoi parenti, li ha calzati e vestiti da signori, e li ha allogati in un bel palazzo. Ha trasformato suo fratello Pasquale Cocle da guardaboschi che era, in Vicepresidente della Corte Criminale di Salerno. Un magnifico palazzo si ha costruito nel luogo più bello della città, e ne fa comparir padrone Carmelo Passaro suo figlioccio. Monsignore ha persuaso il Re che Pio IX è un giacobino; ed il Re quando la sera i figliuoli vanno a letto dice loro pregate Dio pel Papa, il quale non sa quel che si faccia.

O Santo Padre, o caro Padre degli Italiani, anche Gesù fu creduto pazzo dai Farisei!

Così Ferdinando aggirato dal furbo Monsignor di Patrasso è divenuto uno stupido; guardasi di pronunziare la parola eziandio, perchè in essa si nomina Dio; ed i preti censori della stampa cassano questa sventurata parola da ogni scrittura. Per gli scrupoli del Re le ballerine debbono vestire in teatro le brache sino al di sotto del ginocchio, e di colore scuro; per ordine comunicato dalla Polizia con ministeriale ai coreografi dei RR. Teatri, questi debbono essere accorti nelle loro composizioni a non mettere i loro personaggi in attitudini troppo [p. 20 modifica]amorose che potrebbero risvegliare negli spettatori idee libidinose; e nei ballabili non metter tanto in contatto i corifei con le corifee, ma serbare una convenevole distanza fra loro per evitare gli scandali, e non offender la morale: i drammi L’abate de l’Epée, e L’abate Taccarella dovettero intitolarsi Il signor de l’Epée ed il poeta Taccarella, chè nè abati, nè preti, nè romiti, nè ebrei2, si possono rappresentare in teatro; nè mai nominar Dio ma invece cielo. Ma il devoto trastullo di questo Re fanciullone è il presepe che egli fa in Caserta. Sbracciasi, piglia la sega, il martello, l’ascia, e lavora egli stesso per soddisfare la sua divozione: mostra a tutti l’opera sua, la gente vi corre, ed egli gode vedendo tanti divoti che gli dan buon guadagno alla strada ferrata. Vero nipote di quel Ferdinando I che, regal tavernaio, cuoceva e vendeva maccheroni in Portici3. Or negate che Ferdinando II sia di sangue borbonico! Ed egli seguendo l’esempio dell’avolo fa che i suoi figliuoli nella Domenica delle Palme e nel dì di S. Giuseppe per un divoto divertimento imparino da un guattero a far le zeppole, e coi grembiuletti legati al collo le facciano anch’essi.

Un dì stando ad una finestra del palazzo di Caserta e vedendo passare una processione di quattro mascalzoni ed un prete che portava un’immagine della Vergine, ei chiama la moglie ed i figliuoli e s’inginocchiano. Passa un tenente con alcuni soldati per mutar le guardie e non vi bada: il Re comanda che il tenente sia messo in castello; questi gli scrive una supplica, e dentro vi pone l’Ordinanza militare, la quale comanda che solo al SS.


[p. 21 modifica]Sagramento ed alle persone reali si debba fare il presentate armi. Il Re libera il tenente, e con un rescritto comanda che si faccia questo onore anche alla Vergine. Così egli stassene in un’estasi beata; e quando il popolo grida miseria e cerca pane, egli risponde: Sono i peccati, confessatevi, ed avrete la provvidenza.

Ecco in qual modo re Ferdinando corrompe ed opprime otto milioni di uomini, come li ammiserisce, come guasta una religione santissima che egli non conosce, come li rende ipocriti e malvagi! Quello che egli fa fanno tutti gli altri i quali mirano in lui, e vogliono piacere a lui. Onde nel reame delle due Sicilie non v’ha più religione, chè i preti l’arruffianano, il Re la svergogna, i ribaldi la vendono, tutti ne usano a loro pro. Or ecco chi è Ferdinando! Egli si è studiosamente affaticato a scegliere la gente più stolta, più malvagia, più perversa, più disonesta, e se ne è circondato, e le ha dato impieghi e potenza. Da lui scendono tutti i nostri mali, da lui apprendono a tiranneggiare i ministri, da lui deriva quella stoltezza, quella inerzia, quella bestialità, che vedesi nelle azioni del governo; egli è il verme più grosso e più schifoso della piaga che ci rode.

E vermi sono ancora il Principe di Bisignano, il Duca di San Cesareo, il generale Salluzzo, il Duca di Ascoli, e tutti gli altri nobili con livrea, che formano la Corte. Gente sciocca ed ignorante a segno che non sa leggere; onde li diresti simili agli arcavoli, se guardandoli in volto non ti accorgessi ch’ei sono plebei, e somigliano agli adulteri servitori delle loro famiglie. Tra essi non ve n’ha uno buono, uno pio, uno che abbia un po’ di senno comune, che consigli un bene: forse fra tutti essi re Ferdinando è il men tristo. Con questa gente e col suo confessore il Re si trattiene, e si consiglia: i negozi dello Stato stanno in mano dei Ministri.

Note

  1. Tra primi decreti fatti da lui è quello che comanda a soldati di farsi crescere i mustacchi.
  2. Perchè Rothscild è ebreo, e prestava denari anche al Re, fu inibito di mostrare sui teatri la sporca avarizia di questa razza, ed il nome di ebreo è cambiato in quello di arabo
  3. V. Colletta, Stor. di Napoli