Prose (Foscolo)/III - Scritti vari dal 1799 al 1802/IV. Proemio ai Discorsi sopra gli uomini illustri di Plutarco

IV. Proemio ai Discorsi sopra gli uomini illustri di Plutarco

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IV. Proemio ai Discorsi sopra gli uomini illustri di Plutarco
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IV

PROEMIO

ai «Discorsi sopra gli uomini illustri»

di Plutarco

[gennaio 1801]

Necessitá d’ogni uomo è la conoscenza dell’uomo. Né legislatore può istituire popoli, né principi governarli, né filosofi istruirli senza la scienza della umana natura. S’è disputato e si disputa se l’uomo sia naturalmente buono o naturalmente cattivo, o, se nulla di ciò essendo per se medesimo, non esista che come anello passivo dell’universo sistema. E, considerando io in me stesso e ne’ libri de’ sommi maestri e nel mondo, m’è risultato non esistere assolutamente né virtú né vizio, e tutti essere nomi vuoti, coi quali la umana razza, a norma dell’utile o del danno, adonesta o deturpa le azioni e gli avvenimenti, che tutti hanno principio, mente, moto e fine soltanto dalla forza, della quale gl’infiniti, minimi, incomprensibili accidenti [sono] voluti dal prepotente ordine universale che noi chiamiamo «fortuna».

Perché questa filosofia può derivare e dalla mia indole e dal mio ingegno, per tante e somme disavventure fatto rigido e malinconico, e molto piú dagli errori e dai delitti onde questo secolo è insigne, mi sono rivolto ai pochi illustri che a tanti anni e a tante genti sovrastano quasi primati dell’uman genere, discorrendo su le loro vite scritte da Plutarco, per quanto è [p. 214 modifica] concesso a mortale, spassionatamente. Ché, se in questi pochissimi l’uomo m’apparirá buono, saggio e forte per se stesso, incomincerò, pentendomi della mia opinione, a reputarlo e ad amarlo, consolandomi de’ tanti suoi mali quasi di necessari preparativi d’una verace eterna felicitá. Temo nulladimeno ch’io, spogliando gli uomini di Plutarco della magnificenza istorica e della riverenza per l’antichitá, poca o niuna distanza troverò tra i passati e i presenti, perché sospetto l’umanitá e tutte le sue vicende non mutarsi mai sennon nelle apparenze.

Firenze, 7 gennaio 1801.