Poesie varie (Angelo Mazza)/Inni e odi/I. L'aura armonica
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I
L’AURA ARMONICA.
O graziosa e placida
aura che qui t’aggiri
e di fragranze eteree
soavemente spiri;
5o del piú vago zefiro
alidorata figlia,
o nata solo a movere
l’amatuntea conchiglia;
dimmi: onde vieni, e garrula
10perché d’intorno aleggi,
e di mia cetra eburnea
il tremolar vezzeggi?
Forse dal colle idalio
o da Pafo movesti?
15d’Ibla, d’Imetto i liquidi
soavi odor beesti,
per istillar ne l’animo
di giovine cantore
molli sensi che imparino
20a sospirar d’amore?
Ovver tu sei del novero
di quelle, aura giuliva,
che sotto il cocchio ondeggiano
de l’acidalia diva,
25quando le giova scendere
ne’ verdi antri capaci
e col figliuol di Cinira
mescer sospiri e baci?
Quale tu sii, sorridati
30il ciel sempre sereno,
lungi da me, cui premono
gelide cure il seno.
Oblio tenace l’anima
d’ogni letizia bee,
35poi che rapilla il vortice
di perturbate idee.
Torna al bel colle idalio,
torna di Pafo ai liti:
pietosa al canto mormora
40di Filomena e d’Iti.
Ami per te disciogliere,
flebilemente varia,
i moribondi gemiti
colomba solitaria:
45per te l’augel dolcissimo,
che sovra ogni altro albeggia,
l’estremo fiato moduli,
a cui Meandro echeggia.
E, se gioiosa cetera
50pure animar ti piace,
va’ dove solo albergano
amor, letizia e pace.
Grecia te inviti, e calamo
greco per te si tenti,
55amabil aura, artefice
di lusinghieri accenti.
Deh! ché non torni a nascere,
onor d’agreste musa,
o bocca de le grazie,
60pastor di Siracusa?
E tu, di mirto pafio
cinto la crespa fronte
molle testor di veneri
festivo Anacreonte?
65— Eh, taci — odo rispondere —
giovin cantor; t’accheta:
odio i profani numeri
di menzogner poeta.
Pensa qual d’alma vergine
70nome quaggiú s’onora,
che in ciel da l’arpe angeliche
è salutato ancora.
L’aura son io, che fingere
voce potei gradita
75sotto il candor versatile
de le virginee dita.
L’aura son io, che suggere
godea le note sante,
che, di Dio piene, uscivano
80da quel bel labbro amante.
E del Signor de’ secoli
io le recava al trono:
m’aprîro il varco e tacquero
e le tempeste e il tuono.
85Esso il buon Dio raggiavami
d’un ineffabil riso;
rotto per me strisciavasi
a la donzella in viso:
e, tutta amor, sfaceasi
90quella bell’alma intanto,
e le parole tenere
interrompea col pianto.
Eterna a quel nettareo
suono giurai la fede:
95de’ zefiretti invidia,
bella n’ebb’io mercede.
Fra le bell’aure mistiche
a me volar fu dato:
scherzai fra i cedri e i platani
100del Libano odorato.
Anche al cultor di Gerico
baciai la casta fronte,
e susurrai sul margine
del sigillato fonte.
105De l’orto inaccessibile
mi consecrò l’olezzo,
né di germoglio ignobile
contaminommi il lezzo.
Io, d’ispirarti cupida,
110la cetra tua svegliai;
che tra mondane imagini
tu vaneggiasti assai.
Or vo’ tue labbra tergere,
vo’ che agli eletti spirti
115salga odoroso cantico
d’altro che rose e mirti.
E ’l buon drappello armonico
a Cecilia diletto
oda per te qual debbasi
120a music’aura oggetto.
Essa a vil cosa labile
non doni i modi sui:
Iddio spirolla agli uomini,
perché ritorni a lui.
125Né piú s’ascolti (ah! tolgasi
il detestato esempio)
l’invereconda musica
lussureggiar nel tempio:
e ’l salmeggiar davidico
130e ’l devoto lamento
il prisco onor rivestano
de l’idumeo concento. —
Tace: e ricerca insolito
tremor l’arguta lira:
135commosso il labbro palpita:
— Segui, bell’aura, — e spira.