Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/Il viaggio di Genova e di Toscana

Il viaggio di Genova e di Toscana

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Il viaggio di Genova e di Toscana
Sopra le sventure della Francia del 1794 Per la signora Fortuna Sulgher Fantastici

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IL VIAGGIO

DI

GENOVA E DI TOSCANA


Quattro volte la Luna il giro usato
     Compiè appena nel Ciel poich’io animosa
     De’ malori crudei fuggendo l’ira,
     Che da lunga stagion teneanmi oppressa,
     5L’orride schiene ad affrontar mi accinsi
     Dell’altero Apennino, e le beate
     Della bella Liguria a veder corsi
     A Libertà diletta illustri piagge.
     All’ampia scena ch’oltre all’arduo giogo
     10Inaspettata innanzi a me si aperse
     Di colli digradanti, cui superba
     Fanno corona verdi selve ombrose,
     Giardin ridenti, e splendidi palagi;
     All’aura dolce che d’intorno olezza
     15E quelle apriche bea vaghe pendici;
     All’affacciarsi dell’auguste mura,
     Cui fa tremolo specchio il mar soggetto,

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     Pur apparve repente e a me benigna
     Con rosea faccia la salute arrise,
     20Cui tante io porte avea preghiere invano;
     Come il fragor cessato, e lo spavento
     Di torbida procella, che versando
     Impetuosa grandine sonante
     Spogliò le selve, e fè de’ campi strazio,
     25Di settemplice luce colorato
     Appar l’arco di pace, e stan sull’ali
     A contemplarlo in dolce calma i venti
     Io volli allora de’ miei carmi un serto
     Alla invitta offerir Figlia di Giano,
     30E gli avvivati studj, e l’arti tutte
     D’intensa gara accese, e l’indefesso
     Commercio che da tanti estranj climi
     A man piena le reca ampj tesori,
     E la sovrana Libertà, che intatti
     35I suoi vessilli additar gode, e l’alte
     Sue magnanime imprese, e il sangue sparso
     De’ Canevan, e de’ Pinelli suoi,
     Tutto io volgea nell’agitata mente,
     Ed al mio plettro già stendea la mano;
     40Ma d’improvviso l’Ombra a me davanti
     Stette di sacro Vate, che silenzio
     Imperiosa, e di cotanto ardire
     Quasi sdegnata, alle mie labbra impose.

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     Ombra del Savonese a verdi allori
     45Che velavanti il crine, all’aurea cetra
     Che in man reggevi, e più a quel vivo aspetto
     Di cui sovente io venerai la immago
     Ben ti conobbi, e ben sentii che a pochi
     Sol più cari ad Apollo eletti Spirti
     50Lice il canto tentar, là ve sì spesso
     E le marine, e le silvestri Dive
     Corsero a udirti, e di stupor ripiene
     De’ focosi inni tuoi fer plauso al suono.
     Oh dì felici, che di quello in seno
     55Trassi libero suol d’affanni sgombra,
     E novella bevendo aura di vita!
     Ma da sì cara sede ahi! troppo presto
     Allontanarmi è forza, e già su lieve
     Legno salpando al mar mi affido, e parto,
     60E sol col guardo fiso il lido amato
     Io seguo ancor, che fugge, e si dilegua.
     Splende tranquillo il Cielo, e senza nube,
     Ed un’aura seconda increspa l’acque,
     Che percosse da remi mormorando
     65Mi portano veloce. In ogni parte
     Volan qua e là sovra l’instabil piano
     Baldanzose barchette, aperte vele
     Quasi liete compagne al mio viaggio
     Folle chi crede del Nettunio regno

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     70Alle infide lusinghe. Oh come tutto
     Cambiossi al sorger della nuova aurora
     Di tenebroso chiusa infausto velo!
     Escon dal carcer loro i più rabbiosi
     Figli d’Eolo mugghiando; il mar s’innalza
     75E flagellando la smarrita prora
     Dal diritto cammin fuor la trasporta;
     Vela, o remo non val; di prodi, esperti,
     Nerboruti nocchieri è vana ogni opra;
     Ovunque io spingo il guardo altro non vedo
     80Che sossopra sconvolte onde frementi,
     E tetri scoglj, ed inaccesse rupi,
     E a quanti ho intorno un gelido timore,
     Che mal celar si puote, io leggo in fronte.
     Oh come allor de’ miei paterni colli
     85La pace sospirai, ove dell’aure
     Sol si sente il garrir entro alle frondi,
     E di qualche ruscello il mormorìo
     Che tra muscosi sassi il corso rompe;
     Ma il lido ecco si appressa, ecco lo afferra
     90Il faticato legno, e tutti a gara
     Balziam festosi in sulla ferma arena.
     Lieto forse così poichè molt’ebbe
     Cesare all’onde contrastato, e ai venti
     Coll’affannato Amicla al fin trovossi
     95Salvo di Epiro in quelle stesse rive

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     Che troppo ardito abbandonate avea.
     De’ passati periglj or più non rieda
     A me l’immagin trista; il Ciel, la via
     Tutto facile arride, ed agii cocchio
     100Col variar de’ fervidi destrieri
     Già volando mi scorge ai Toschi lidi.
     Fernando glorïoso inclito germe
     Della Medicea stirpe a queste liete
     Piagge, dov’or mi aggiro, abbiette un tempo,
     105Ed a pochi nocchier note soltanto,
     Forza diede e splendor; Ei di robuste
     Le ornò marmoree moli, e qui dell’ire
     Del mar cruccioso, e dell’insidie ostili
     A mille e mille nazion diverse
     110Donò placido asilo, ond’or Livorno
     E di ricchezze e d’ogni merce abbonda,
     E di popolo immenso ondeggia e ferve.
     E Tu, celebre Alfea, che un dì l’impero
     Dell’Oceàn reggesti a portar guerra
     115Su cento usate e cento armate prore
     Oltre all’onde Tirrene in ogni lido,
     E a mieter palme, e a debellar nemici
     Di Cartago, e di Roma emula invitta,
     Non ti lagnar se il crudo alato Veglio
     120Che tutto urta e, distrugge, alfin pur volle
     Contra te stessa esercitar sua possa.

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     Lacere le tue membra, è ver, sepolte
     Giacquer sotterra, e qualche marmo appena
     De’ prischi figli tuoi rammenta il nome.
     125Pur dalle tue rovine, e del vetusto
     Squallor degli anni ad onta ergesti ancora
     Gloriosa la fronte, e ancor dell’Arno,
     Che Te parte fastoso, in sulle rive
     Torri, templi, palagi, ed archi io veggio
     130Mostrarsi orgogliosi, e nel tuo seno
     All’ombra amica di Palladie fiondi
     L’Arti belle fiorir, fiorir gli studj.
     Ma de’ compagni miei sento la voce
     Che al dipartir mi affretta; al cocchio uniti
     135Nitriscono i cavalli impazienti,
     Ne fia lungo il cammin ch’altro omai possa
     Me rattener fin ch’io dell’alma innante
     Città non giunga, che da Flora ha il nome.
     Salve Città regal; novella ovunque
     140Per l’ampie tue contrade il piede io volga
     Meraviglia lo arresta, e pende il guardo
     Fra mille obbietti attonito e confuso.
     Cosi d’un cinto in mezzo erboso prato
     Giovane pastorella il pie sofferma
     145I fior diversi a contemplar, incerta
     Qual pria raccolga per ornarne il seno.
     Sì, questo è il loco ove tornaron liete

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     L’Arti sorelle a ricomporsi il crine,
     E l’atra nebbia a disgombrarsi intorno
     150Ond’eran cinte, quando afflitte esangui
     Ivan l’Italia ricercando tutta
     Da barbari innondata, e sol di lutto,
     Di rapine, di stragi orrido campo.
     Molli vivaci forme i bronzi, e i marmi
     155Preser docili allor; d’industre al tocco
     Pennello creator fur le pareti
     Viste animarsi; maestosi, alteri,
     Quai già la Grecia, e quai d’Augusto ai giorni
     La superba innalzar Roma solea,
     160Surser ampj edificj; alfin qui apparve
     D’ogni Genio maggior astro novello
     Michelangiol divin, che in Vaticano
     Il miracol dell’arte al Ciel sospinse.
     Nè sorde al nuovo invito, d’Ippocrene
     165Stetter lente sul margo allor le Muse,
     Che sceser ratte ad abitar le rive
     Dell’Arno, e del Mugnon, e fer di dolci
     Suonar quest’aere armoniosi accenti.
     Perchè fra queste mura a me non lice
     170Far più lungo soggiorno, e perchè troppo
     Nemica a desir miei l’invida sorte
     Sì presto mi richiama ai patrj Lari?
     Ma pria ch’io giunga, a loro, oh quai si appresta

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     Novella gioja a ricercarmi il cuore!
     175Come esultar godrò davante ai ricchi
     Felsinei colli, e alle famose rive
     Del picciol Ren care a Minerva, e a Febo!
     Udiron esse dell’umìl mia cetra
     Da lunge il suono, e de lor Vati il coro
     180I miei non isdegnò timidi carmi
     Di sua voce animar, e sotto all’ombra
     De’ sacri lauri suoi donarmi un seggio.
     Spero avverrà, che più tranquilla un giorno,
     E con voce men fioca io le tue glorie
     185O Felsina di Eroi madre e nudrice
     Possa cantar; nè tanto ingrata allora
     Sarò ch’io non rammenti entro a’ miei carmi
     E del Panaro, e della Parma i pregi.
     Ma di mia Patria in grembo ahi! quale oscuro
     190Stuol di pensier funesti a me d’intorno
     Solo si aggira, che mi vieta il canto,
     E al lagrimare e al lamentar mi chiama!
     I mali stessi ond’io sperai, ma invano
     Colla fuga sottrarmi, e ottener pace,
     195Contro di me s’avventan più feroci,
     E la salute, che mostrossi appena
     A me cortese, in un momento sparve
     Qual lampo, che strisciando il bujo rompe
     Di fitta notte, e nel medesmo istante

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     200Fuggendo par che le tenèbre accresca.
     Eterni Numi! se da voi fu scritto
     Sun ’n Ciel ch’io tragga di mia vita il corso
     Sempre infelice, ed agli affanni in preda,
     Deh almen propizio a fidi amici miei
     205Lieti e tranquilli ne serbate i giorni!