Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/A Caterina II
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A
CATERINA II.
IMPERATRICE DI TUTTE LE RUSSIE1
Sebben, Augusta Donna, al mio desire
Non arrida la sorte, ed a me vieti
Cercando estranio cielo alle superbe
Varcar del Neva avventurate sponde,
5Far non puote però che almen su l’ali
Del veloce pensiero a quelle intorno
D’alto stupor ripiena io non m’aggiri.
Più belle ognor sotto gli auspicj tuoi
Io le scorgo fiorir, veggio lungh’esse
10Ferver l’arti a grand’opre, ergersi mille
Stupende moli, gareggiar gli studj
Più cari a Palla, e un’altra Roma io veggio
Risorta in Peterburgo, un’altra Atene.
Sovente pur fra sì ammirandi obbietti
15Mi si affaccia al pensier l’altera Immago
Del tuo grand’Avo, che a destriero ardente
Il dorso preme, e che dal volto spira
E prudenza e valor; di mano industre
Raro portento, su cui tien Natura
20Attonito lo sguardo, e fremer sembra
Che l’arte emula sua tant’alto arrivi.
È questi, io grido allora, è questi il grande
Già sì caro agli Dei Monarca invitto
Maggior di quanti mai del Russo Impero
25lmpugnaron lo scettro, e vinto solo
Dalla Donna immortal, che saggia e forte
I suoi popoli or bea, nuovi accrescendo
Luminosi trïonfi al Solio avìto.
Sì, eccelsa Donna, mentre in mille guise
30Ad eternarne il nome i miglior desti
Fecondi ingegni, Tu co’ pregi tuoi
De la sua gloria ogni con fin trasvoli.
Ma deh! perdona se da lungi anch’io
Co’ fervidi miei voti a Te rivolta
35L’alte tue imprese a contemplar ne vegno,
Ed il tuo nome in troppo umili accenti
Fo risonar per l’Itale foreste.
Come potrei tacer, se tutto è pieno
Già l’Universo de’ fulgenti rai
40Di tue virtudi, e Te devoto ammira?
Sparge così dal Cielo immensa luce
Per ogni parte il Sole, e dalle estreme
Foci del Gange, ed oltre alle remote
Erculee mete, le campagne, i colli,
45I deserti, le rupi allegra, e inaura,
Onde grata ogni gente ancor più rude
D’inni tributo al sovran Astro invìa.
Ben Tu, che quasi Deïtà novella
Qua giù splendi, Tu il sai, che in ogni lido
50Sincere voci le tue geste, e i tanti
Favori tuoi van celebrando a gara.
Sai che a l’Italia in sen, che lungo all’Istro,
Lunghesso il Reno, e del Tamigi in riva
E della Senna i più sublimi spirti
55Sacri ad Apollo, Te chiaman lor Nume.
Ma come al piè del Regnator dell’Etra
Che de’ mortali a suo voler le sorti
Tempra, e con larga man versa i suoi doni,
Mugghia pur anche il tuono, e di vendetta
60Ministro avvampa il fulmine trisulco;
Così del Trono al piede, onde discende
Il tuo regio favor, veglia pur sempre
La Forza invitta, e sta il Terror sull’ali
Sovra de’ tuoi nemici a piombar pronto,
65Qualor dell’armi il formidabil Genio
A scuoter l’asta, e a trïonfar t’invita.
Sorge repente allora, e i campi ingombra
Selva di armate squadre, e Marte fiero
Le accende a l’ira, e lor gode esser duce.
70Sciolgono allora a’ cenni tubi dal porto
Cento spalmate navi, e le furenti
Procelle disprezzando e i neri flutti,
Imperan minacciose all’Oceano;
E ovunque drizzan le velate antenne
75Le segue amica la Vittoria a volo.
Ma non convien di pastorella al canto
Tuoi fasti rammentar, o Tu esser voglia
Nume di pace, o Pallade guerriera.
Felici que’ che ponno in sulla incude
80Febea temprar bei carmi armonïosi
Che di Te sieno degni, e a Te gli studj
Tutti sacrar, tutti sacrare i giorni!
Io qui sul margo del mio patrio fiume,
Se Tu noi prendi, o Augusta Donna, a sdegno,
85Di bianchi marmi innalzerotti un’Ara,
Cui faccian grata insieme ombra e corona
Idalj mirti, e verdeggianti allori;
Che alla corteccia intorno il tuo gran Nome
Portando inciso cresceranno alteri.
90A questa innanzi de’ più eletti fiori
Serti offrirò; poi le ineguali canne
Svegliando, invece di cantar tue laudi,
Cui mal si accorderìa silvestre avena,
Andrò agli Dei mettendo ardenti prieghi,
95Perchè su’ giorni tuoi, dolce lor cura
Veglin providi sempre, e di quel Sesso,
Che, tua mercè, più non fia detto imbelle,
In Te serbin l’onor, l’onor del mondo.