Poesie (Fantoni)/Odi/Libro I/XXXIX. Alla conversazione di Anna Maria...

XXXIX. Alla conversazione di Anna Maria...

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XXXIX. Alla conversazione di Anna Maria...
Libro I - XXXVIII. A Melchiorre Cesarotti Libro I - XL. A Bartolommeo Boccardi
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XXXIX

Alla conversazione
di Anna Maria Berte, in Livorno

(1790)

     Péra colui che di faretra ed arco
il primo armò l’ignudo fianco e l’omero,
e, schiuso all’ire ed alle pugne il varco,
cangiò in brando la falce e in asta il vomero.

     5Quindi le Furie a desolar la terra
nacquero, e a danno dell’umano genere
nuova strada alla morte aprì la guerra;
campi e capanne riducendo in cenere.

     Per lui d’Europa or le vendute genti
10allo sdegno dei re stolte s’adirano,
e al roco suon dei bellicosi accenti
strage e ruina minacciando spirano.

     L’Asia, per lui deserta, or freme e piange,
serva del Trace lacerata e squallida,
15e le bende ed il crin vedova frange
l’egizia sposa desolata e pallida.

     Tanto dell’oro può la sete, e tanto
su l’uomo avaro il mai tranquillo e sazio
desio, che a prezzo di delitti e pianto
20di terra sepolcral compra uno spazio!

     Pace, ritorna! né sangue si versi
piú di fratelli che tra lor si sfidano,
né Italia mia vegga, di lutto aspersi,
i pingui campi del conteso Eridano.

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     25Pace, ritorna, inghirlandata in fronte,
e il sacro guida amico aratro! Riedano
teco la fede e l’abbondanza pronte,
e ai nostri vizi le virtú succedano.

     L’aurea si vegga dei costumi antichi
30rozza ma schietta puritá rinascere,
ed indistinte per i colli aprichi
errar le gregge rispettate a pascere.

     Io lieto, intanto, in mezzo ai campi aviti,
farò che s’erga al patrio fiume un argine,
35e agli alti pioppi sposerò le viti,
di un vitreo rivo su l’erboso margine.

     Tu, sacro ai versi miei, sacro al mio cuore,
nipote e amico, di un ondoso salice
t’assidi al rezzo, e col fuggente umore
40l’ardore estingui di un vinoso calice.

     M’abbraccia, bevi, e il vuoto nappo cedi
alla di carmi tornitrice amabile,
Berte ingegnosa, o al fervido Lampredi,
facile al bene ed alla colpa inabile.

     45Questo è Ranucci; Slop è quello, pura
anima e in cui non regna odio ed invidia:
v’è Catellacci, che talvolta fura
gli egri dei morbi alla rapace insidia.

     V’è lo studioso Bevilacqua, e il caro
50Zipoli saggio dal purgato scrivere,
che sa, di lode mal donata avaro,
far plauso al merto e in regia corte vivere.

     Quel che passeggia solitario, e sotto
reca del braccio ed un volume e un foglio,
55Fresie è, dell’arti il Mecenate, il dotto
scevro di téma e di maligno orgoglio.

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     L’amor lo segue della colta Altea,
Petri, da questo cor indivisibile,
che alla nascente libertá cirnea
60applaude sofo e cittadin sensibile.

     Giá i destrieri del sol volgono il tergo
al monte, e d’ombra l’ima valle copresi:
salite, amici, all’ospitale albergo
che su quel colle al passegger discopresi.

     65La mensa è pronta, né vi stanno intorno
satiri audaci e la virtú deridono;
ché nella notte e nel tranquillo giorno
pace, giustizia ed amistá vi ridono.

     Ma, aimè, ch’è un sogno la mia gioia! Altrove
70voi siete, ed io sento le trombe fendere
l’aria commossa, e peregrine e nuove
squadre dall’Alpi minacciar di scendere.

     Veggo il Sabaudo insuperbire, aperto
di Giano il tempio, bisbigliar Liguria,
75e pensierose sul destino incerto
tacer l’Insubria e palpitar l’Etruria.

     Musa, t’arresta: un pigro gel mi morde
il cuor, la destra si smarrisce debile,
e le tremanti, inorridite corde
80rendono un suono doloroso e flebile.