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I. La vita, il tempo e l'eternitá

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I. La vita, il tempo e l'eternitá
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I

La vita, il tempo e l’eternitá

1
     Folle mortal, della miseria figlio,
che la voce d’un Dio chiama dal nulla,
e della morte al distruttore artiglio
implacabil consegna entro la culla,
tu cerchi invan, nell’inquieta vita,
fuori di lui felicitá compita.
2
     Propizia al nascer tuo vegli fortuna,
plauda degli avi l’onorato orgoglio,
l’ampie ricchezze, che Batavia aduna,
sian tributarie del paterno soglio:
circonderan con l’ali agili e pronte
l’edaci cure la gemmata fronte.
3
     La losca Invidia per il regio tetto
occulta serpe ed ha l’insidie al fianco,
la curva Adulazione ed il Sospetto,
folto le nere ciglia e il crine bianco,
la Finzion di lusinghiero accento,
e, macchiato di sangue, il Tradimento.

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4
     Su questa tomba, che superba ingombra
tanta terra soggetta e in sen racchiude
di due secoli scorsi ignota l’ombra,
chiedi di mille alle fredde ossa ignude:
se beato esser puoi, finché d’intorno
ti spira l’incostante aura del giorno.
5
     Dalla notte fatal risponderanno
che invan lo speri. A pena nata, fugge
l’umana gioia, ed il seguace affanno
la sognata del cuor pace distrugge:
giudica il tempo i nostri affetti e scopre
pago il desio la vanitá dell’opre.
6
     E intanto, quasi mar, la vita assorbe
dell’incerto mortal, che non l’apprezza,
ma tra favole e sogni incauto sorbe
l’amaro fiele della sua stoltezza,
onde poi piange nell’etá canuta,
riconosce l’inganno e non si muta.
7
     Curvo dagli anni, l’inquieto avaro
geme del tempo, che ha venduto all’oro;
ma pur non sa lasciar, tanto gli è caro,
finché Morte nol fura, il suo tesoro:
Morte, che dona le rapite prede
ad un ingrato sconosciuto erede,
8
     che in feste e in danze, ove lascivia e gioco
chiamano Bacco ad impudica mensa,
le ricchezze consuma a poco a poco,
e gli anni preziosissimi dispensa:
s’oscura il dì, ride la Parca, scende
sopra il convito e il vaneggiar sospende.

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9
     Stolti che siamo! a che cercar le brevi
gioie di questa peregrina terra,
e per ricchezze passeggere e lievi
muovere al cielo e agli elementi guerra,
se non ci segue la comprata sorte,
ma preda resta dell’avara morte?
10
     (Quella vil salma, che Floriso pasce
or con tante carezze e tanto fasto,
che ornano i regi di onorate fasce,
presto sará d’ingordi vermi ’l pasto.
Né resterá di lui che in brevi carmi
un titol vano, in non curati marmi.
11
     Quel roseo volto, ove sedea la mia
e la tua, Dafni, libertá smarrita,
preda di morte la comun follia
dell’imprudente gioventú ci addita,
e sulla tomba di Glicera stanno
il nostro pentimento e il disinganno.
12
     Per tutti giunge quel fatale istante,
in cui, languenti di angosciosa febre,
arido il labbro, pallido il sembiante,
s’ode mesto squillar bronzo funebre:
schieransi allora innanzi agli occhi, scritti
dal rimorso crude!, tutti i delitti.
13
     Così l’assiro tracotante ed empio,
porgendo i sacri vasi al labbro impuro,
vide le cifre del vicino scempio,
dalla vindice man scritte sul muro;
gelò di téma e alle falangi perse
l’ignudo petto irresoluto offerse.

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14
     Ci minaccia il passato e ci sgomenta
il presente, ci addita orrida tomba
un dubbioso avvenir, che ci spaventa,
e un nume feritor sopra ci piomba:
geme natura nell’estreme lotte,
cede e ci copre interminabil notte.
15
     S’apre l’eternitá, spazio profondo
di secoli infiniti, in lei risiede
nel centro immenso chi die’ vita al mondo,
giudica l’alme e su l’abisso ha il piede.
Di me che fia?... sento un rimorso interno...
O vita, o morte, o eternitade, o inferno!