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notti 287


9
     Stolti che siamo! a che cercar le brevi
gioie di questa peregrina terra,
e per ricchezze passeggere e lievi
muovere al cielo e agli elementi guerra,
se non ci segue la comprata sorte,
ma preda resta dell’avara morte?
10
     (Quella vil salma, che Floriso pasce
or con tante carezze e tanto fasto,
che ornano i regi di onorate fasce,
presto sará d’ingordi vermi ’l pasto.
Né resterá di lui che in brevi carmi
un titol vano, in non curati marmi.
11
     Quel roseo volto, ove sedea la mia
e la tua, Dafni, libertá smarrita,
preda di morte la comun follia
dell’imprudente gioventú ci addita,
e sulla tomba di Glicera stanno
il nostro pentimento e il disinganno.
12
     Per tutti giunge quel fatale istante,
in cui, languenti di angosciosa febre,
arido il labbro, pallido il sembiante,
s’ode mesto squillar bronzo funebre:
schieransi allora innanzi agli occhi, scritti
dal rimorso crude!, tutti i delitti.
13
     Così l’assiro tracotante ed empio,
porgendo i sacri vasi al labbro impuro,
vide le cifre del vicino scempio,
dalla vindice man scritte sul muro;
gelò di téma e alle falangi perse
l’ignudo petto irresoluto offerse.