Poesie (De Amicis)/Gli ultimi anni
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GLI ULTIMI ANNI
a giuseppe giacosa.
I.
Beppe, ricordi il mio sogno dorato,
Quando sudavi ancor sulle Pandette,
Di raccoglierci, vecchi, in due villette
Sulla riva del mar dove son nato?
Io te Io dissi un giorno e tu, beato,
Con quel riso che assente e che promette,
— Verrò — dicesti e le mie mani hai strette,
E — giuralo — ti dissi, e l’hai giurato.
Poi diventasti babbo e cavaliere
E il sogno forse del tuo fido amico
Scordasti già da molte primavere.
Ma ti verrò una notte a rammentare,
Silva implacato, il giuramento antico,
E a tuo dispetto morirai sul mare.
II.
Già veggo sulla mia spiaggia diletta
Spuntare un vecchio dall’aspetto blando,
Ed un altro vecchietto venerando
Sbucar, tossendo, da la sua casetta;
Tremoli e curvi, per la via soletta
Salgono a lento passo, e a quando a quando
Li vedo di lontan, gesticolando.
Alzar la tabacchiera e la gazzetta.
Intanto dietro al mar caldo si cela
Il sol, dorando un borgo sull’altura,
E nel golfo gentil passa una vela;
Poi fra le piante de la via romita
Si nascondono i vecchi, e il ciel s’oscura...
Così sogno la fin della mia vita.
III.
Tu avrai dintorno allora e forse anch’io
Un branco di ragazzi impertinenti,
Di signorine bionde e di studenti
Che ci faranno in casa il diavolìo;
Ma forte io del tuo senno e tu del mio,
Vigileremo sui due sessi, attenti
A soffocar le simpatie nascenti
Attenti, Beppe, per amor di Dio!
E colto appena a volo il suon d’un: t’amo,
Rimanderemo i due precoci amanti
L’uno al suo greco e l’altra al suo ricamo;
E faremo tremar gli sciagurati
Con solenni parole altisonanti....
Ridendo sotto i baffi intabaccati.
IV.
E quando in cassa ci saran quattrini
Si farà festa al nostro focolare;
Imbandiremo un lauto desinare
E inviteremo i sindaci vicini;
E allegramente coleranno i vini
A ravvivarci le memorie care
E lasceremo entrar l’aria del mare
Ad agitare i riccioli ai bambini;
E fino a notte, dai terrazzi aperti
Si spanderà per gli orti un suon di canti,
E i sindaci usciranno a passi incerti;
E resteremo noi, dopo il convito,
Col mento in mano e gli occhi luccicanti
A sorseggiarne in pace un altro dito.
V.
E passeggiando pel gentil paese
Dove l’ulivo pio cullano i venti,
Penseremo ai fuggiti anni ridenti
E all’arte e al mondo che ci fu cortese;
Io dell’armi all’amor che un dì m’accese
E ai vaghi aspetti di lontane genti,
Tu al plauso antico dei teatri ardenti
E alla verde beltà del Canavese;
E agli amici dispersi, alle sonore
Cene, ai voli dell’estro adolescente,
Ed alle prime simpatie del core;
E poi, dato un sospiro a quei begli anni,
Torneremo a parlar placidamente
Di cedole, di tasse e di malanni.
VI.
Ma in un giorno di vento e d’umor nero,
Tra uno schianto di tosse e uno starnuto,
Liticheremo, e tu sarai cocciuto
E impertinente, ed io rozzo ed altero;
E dopo un urto impetüoso e fiero
Ci pianteremo là senza saluto,
E ognun ripiglierà torbido e muto
A passo tentennante il suo sentiero.
Ma pervenuti appena ai nostri tetti.
Ci volteremo tutti e due, con viva
Tenerezza agitando i fazzoletti;
E fidando al guancial la fronte stanca
Ci sentiremo entrambi una furtiva
Stilla di pianto ne la barba bianca.
VII.
Ma ho un anno più di te, Beppe, e son io
Che dirò addio pel primo alla marina;
E tu, dopo tanti anni, una mattina
Non sentirai più al fianco il braccio mio;
E già veggo il corteo tacito e pio
Lentamente calar da la collina,
E tu seguirlo con la fronte china,
— Addio — dicendo — vecchio amico, addio!
Quindi fra i ceri, in mezzo alla commossa
Folla, tu leggi soffocando il pianto
Qualche verso gentil su la mia fossa;
E poi torni a la villa afflitta e queta,
Ed apri al core de’ miei figli infranto
Il tuo bel cor di padre e di poeta.
VIII.
Ma non parlar di me con troppo amore
Nei versi che farai pel funerale,
Se no salterà su qualche giornale
A dir che sei venduto all’Editore;
Potrai dir ch’ero un asino di core,
Un vecchio bimbo, un matto originale.
Che non ebbe nell’anima leale
L’ombra d’un odio mai nè d’un rancore;
E dirai che son morto impenitente,
Fido al vecchio Manzoni incretinito
Che incretinì l’Italia anticamente;
Ma che fra le due scole guerreggianti
Che rompono oramai quel che hai capito
Davo un sacco di torti a tutti quanti.