Piccolo mondo moderno/Capitolo settimo. In lumine vitae/I
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In lumine vitae
I
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CAPITOLO SETTIMO
In lumine vitae.
Arrivò allo Stabilimento poco dopo le nove. In portineria c’era l’ordine di accompagnarlo dal Direttore. Questi, avvertito col portavoce, gli venne incontro sulla scala, ripetendo premurosamente “bravo, bravo, bravo„ e alla muta domanda di lui rispose con un sospiro, con un gesto di dubbio e di sconforto. Era dunque in pericolo? Eh sì, pur troppo lo era. E la mente? Perfettissima.
“Oh„, soggiunse il Direttore con l’affettuosa deferenza del medico di cuore e insieme con il sorriso sereno dell’uomo avvezzo: “Domanda tanto di Lei, Lo desidera tanto, poveretta!„
E gli fe’ cenno di entrare nel suo studio. Piero sapeva che quella non era la via.
“Ma come?„ diss’egli. “Non andiamo là?„
“Non subito, se permette„ rispose il Direttore, sorridendo con dolcezza. “Non subito. Le ho fatto preparare qui nel mio studio da rifocillarsi un po’. È sua suocera, sa, che ci ha pensato. Oh che donna, Sua suocera! Che santa!„ Piero protestò che non aveva bisogno di niente, che non voleva prender niente, che voleva vedere sua moglie subito, subito! E perchè l’altro insisteva, cominciò a presentire qualche mistero, a temere che gli si volesse forse nascondere...
“No, no„, fece il Direttore vivacemente “nemmeno per sogno!„ E proseguì con un certo imbarazzo appoggiandogli le mani alle braccia, fissandolo negli occhi:
“Adesso Le dirò tutto. C’è qui un vecchio sacerdote desiderato dalla Sua signora, che ci terrebbe a parlare con Lei prima ch’Ella entrasse in camera. Questa sarebbe pure l’idea della signora marchesa. Ecco!„
“Va bene„.
Prima di far avvertire don Giuseppe, il Direttore informò Piero, sommariamente, della malattia. Il deperimento risaliva al maggio e nelle due ultime settimane si era fatto più rapido. La notte dal sabato alla domenica era sopraggiunta la febbre. Nel primo entrare del male l’inferma aveva molto parlato di un bambino, di un suo caro bambino che aveva portato in casa la pace. Il Direttore si scusò, ripeteva parole dell’ammalata. Essa ne aveva quindi parlato sempre meno e finalmente non più. Nel pomeriggio della domenica, con la febbre a 39.5, aveva, dopo un lunghissimo silenzio, domandato improvvisamente, con intelligenza piena, di vedere i genitori, il marito e don Giuseppe Flores. “Povera signora, avrebbe voluto venire fuori dello Stabilimento, in qualche casa vicina, ma io proprio, considerando il grado della febbre e altre cose, non ho creduto di consentire. Stamattina è ritornata su questo punto. Bastò, poveretta, che quel sacerdote, un santo anche lui, le dicesse di offrire il suo desiderio al Signore per i suoi peccati; ha subito risposto di sì, di sì e che ne ha tanti„.
Piero strinse convulso la mano al Direttore, che uscì, volle andar egli stesso in cerca di don Giuseppe.
Rimasto solo, il giovine si sforzò di fare attenzione alle cose esterne per dominarsi. Si accostò a una finestra. Faceva già caldo, fuori le cicale cantavano nel gran sole, nella gran tristezza delle campagne deserte. Quando si sentì più sicuro di sè, Piero si avvicinò all’uscio, lo aperse un poco aspettando il noto passo di don Giuseppe. Che mai, che mai gli voleva dire don Giuseppe? Stette in ascolto.
Silenzio.
Voci d’inservienti. Si ritrasse, si chinò macchinalmente a guardare un libro aperto sulla scrivania del Direttore. Hamlet, nell’originale inglese: la scena del teatro. Aperse l’uscio da capo. Dio, quelle cicale! Altre voci; finalmente, la voce del Direttore, la voce di don Giuseppe. Lo prese un tremito, ritornò alla finestra per ricomporsi, si voltò ed ecco davanti a lui, solo, con la gran fronte pia, con gli occhi scuri, solenne e dolce, il vecchio prete. Egli alzò le braccia senza proferir parola, e senza proferir parola Piero aperse le sue, gli si avvinghiò al collo. Don Giuseppe si sciolse il primo dall’abbraccio muto, e tenendo le mani sulle spalle di Piero gli disse a voce bassa che avrebbe trovato l’inferma in uno stato di spirito da non potersi immaginare, sicura di morire, piena di gratitudine verso Dio, di tenerezza per i suoi, e così alta nella espressione di questi sentimenti, così acuta nei riflessi sul suo stato presente e passato, nei consigli a sua madre e a suo padre, nelle osservazioni su quanto si diceva e si faceva intorno a lei! Oh! Una cosa! La voce di don Giuseppe si abbassava così parlando, gli occhi s’ingrandivano, si accendevano, il gesto commosso accompagnava le parole. Si capiva ch’egli era stupefatto di aver trovato una Elisa diversa dalla Elisa conosciuta in casa Scremin.
Sedette sul canapè destinato ai visitatori del Direttore, si fece sedere Maironi accanto, si passò una mano sugli occhi.
“Senta„, diss’egli.
Parve dibattere fra sè con qualche rotta voce, con qualche scossa del capo, con gli occhi raccolti in basso le parole da dire o il punto dal quale muovere il discorso.
“Bisogna„, riprese finalmente ritornando al suo gesto familiare della mano alla fronte onde spremeva stentatamente le parole difficili, “che La informi di qualche cosa.„
Trovata la via, continuò, un poco più sciolto, penetrato però sempre la voce e il viso quasi da un rivivere, dentro di lui, delle cose passate che narrava.
“Ricevette il viatico„, diss’egli “alle cinque di stamattina, con la serenità di un angioletto, si raccolse per qualche minuto e pregò i suoi genitori di lasciarla sola con me.„
Qui don Giuseppe cinse con un braccio il collo di Piero, gli sorrise con gli occhi umidi.
“Mi parlò di Lei„, diss’egli. Piero si celò il viso fra le mani.
“Pare„, riprese don Giuseppe sospirando “che qui o gli assistenti o le infermiere, chi sa, udendola delirare, non pensando mai che potesse comprendere, abbiano parlato fra loro, in presenza sua... di cose che la poveretta non avrebbe dovuto sapere. . Ha udito, ha compreso tutto, ricorda tutto, mi ha ripetuto tutto. Si figuri se non cercai di rimediare, di smentire! Mi troncò la parola in bocca. “Non dica, non dica, so che è vero. Le leggo negli occhi che è vero.„ Volle sapere se quella signora fosse libera e si afflisse molto che non lo fosse. Mi domandò se credevo che Lei sarebbe venuto, che avrebbe accolto bene una parola sua di perdono e di preghiera. Le risposi che n’ero certo.„
Don Giuseppe tacque. Piero piangeva.
“Dio mio, don Giuseppe„, diss’egli, “non potrebbe Lei evitarle questa pena, dirle che io considero la sua parola come detta, come udita, dirle a nome mio tutto quello che la può consolare?„
Don Giuseppe gli pose una mano sulle ginocchia ed ebbe ancora, senza guardarlo, un lievissimo sorriso, un sospiro, una inarticolata voce sommessa di dubbio, una voce che Piero intese a questo modo: “Non è meglio, per qualche ragione da tacere, che parli proprio Lei?„
Si bussa all’uscio. Un’inserviente avverte ch’è giunto il professore chiamato per telegrafo da Bologna.