Pescatori d'Islanda/Parte V/Capitolo XIII
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Capitolo Tredicesimo.
Settembre era quasi finito. Ella non mangiava più, non dormiva più.
Ora restava a casa sua tenendosi rannicchiata, le mani sulle ginocchia e la testa rinversata e poggiata al muro.
A che pro levarsi, a che pro coricarsi? Ella si gettava proprio quando era sfinita. Altrimenti restava là sempre seduta, intirizzita, i suoi denti battevano dal freddo in quell’immobilità; aveva sempre l’impressione di un cerchiodi ferro che le serrasse le tempie, e sentiva le guance tirarsi e la bocca seccarsi. Spesso poi gettava un gemito rauco mentre la testa batteva contro il muro.
Oppure lo chiamava per nome, teneramente, appassionatamente, a voce bassa, come se egli fosse là vicino e le susurrasse parole di amore.
Le accadeva qualche volta di pensare ad altro, si divertiva per esempio a guardare l’ombra della Vergine in maiolica, che si allungava lentamente a misura che la luce finiva, sull’alto legno del suo letto.
Ma poi un risveglio crudele ravvivava la sua angoscia ed ella ricominciava a gemere battendo la testa vicino al muro....
Tutte le ore del giorno passavano l’una dopo l’altra, e tutte quelle della sera, e tutte quelle della notte, e tutte quelle del mattino. Quando ella calcolava da quanto tempo egli avrebbe dovuto ritornare si sentiva prendere da un terrore più grande; allora non voleva ricordare più le date, nè i nomi dei giorni.