Per la storia della circolazione monetaria nell'Italia nord-occidentale tra l'XI e la prima metà del XII secolo/Vercelli e il Vercellese - fine XII secolo

Vercelli e il Vercellese - fine XII secolo

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Piemonte occidentale Considerazioni finali

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6. Vercelli e il Vercellese tra il secondo e il quinto decennio del XII secolo

Per chiudere il cerchio torno ora al Vercellese dove, come si è visto nel primo paragrafo di questo lavoro, a partire almeno dal 11061 gli scambi documentati avvenivano facendo riferimento ai “denari nuovi” che erano poi, come attestano alcune carte, denari nuovi di conio pavese2. È, in particolare, un breve del marzo 1115 a dichiarare l’equivalenza tra le due denominazioni: in una investitura di beni agrari siti fuori Vercelli effettuata dalla canonica di Sant’Eusebio di Vercelli, parte dei fitti annuali venne espressa in denaro, «sedecim denarios novos vel denarios Papienses», mentre, si badi, la sanzione pecuniaria che la canonica avrebbe dovuto pagare nel caso in cui avesse voluto annullare l’investitura venne fissata in quaranta soldi «de ipsa moneta que pro tempore currerit»3. Notai e operatori economici dovevano avere l’impressione di vivere in un periodo in cui avrebbero potuto verificarsi fenomeni di instabilità e ricambio dei corsi monetari, e quello appena visto non ne costituisce l’unico segno: un’investitura rogata nel settembre dello stesso anno dal medesimo notaio che aveva rogato la precedente, «Fulcaldus qui et Donumdei», reca una penalità espressa in modo del tutto simile («soli dos centum de illa moneta que pro illo tempore currerit»)4. In questo stesso [p. 37 modifica]documento l’ammontare del fitto annuo, tenuissimo, e la sostanziosa entratura che il concessionario pagò all’atto dell’investitura (che è di fatto una vendita) sono espressi in denari nuovi.

Vista la loro cronologia, è probabile che questi segni di incertezza sui futuri assetti della circolazione monetaria nel Vercellese fossero dovuti alle novità provenienti dalla zecca pavese, vale a dire alla emissione di quella «moneta minorum brunitorum» che l’annalista Caffaro registra sotto l’anno 11155. Anche nel caso vercellese tuttavia, come subito si vedrà, la nuova emissione pavese non ebbe diretto riscontro nelle carte: in questo territorio, infatti, sino ai primi anni cinquanta del XII secolo e oltre il circolante documentato sarebbe rimasto il cosiddetto denaro nuovo di Pavia. Quanto appena detto può suggerire l’impressione di una uniformità più che trentennale della situazione monetaria vercellese, ad attenuare la quale vanno aggiunte due osservazioni. La prima consiste nel rilevare che la moneta nuova pavese subì alcuni mutamenti assai significativi nella sua definizione: mutamenti che ricordano alcuni caratteri della nomenclatura monetaria astigiana e, in modo meno immediato, come verrà chiarito nelle considerazioni finali, novarese. La seconda nel rilevare che l’apparente omogeneità risulta turbata da alcune eccezioni ricche di interesse. Occorre d’altra parte avvertire che parlando di area vercellese si rischia di compiere una semplificazione indebita: in effetti, date le fonti a disposizione per i decenni in esame, l’unico ambito territoriale ben documentato è quello di Caresana, cui va aggiunta la documentazione, non molto abbondante ma chiara, relativa alla porzione oltrepò della diocesi di Vercelli facente capo al territorio pievano di Casale Monferrato. Riguardo ad altre località, Vercelli compresa, si hanno invece informazioni scarse e prive di continuità, con la parziale eccezione di Viverone (presso il lago omonimo), documentata però solo a partire dal 1145. Le singole carte esterne al ricco corpus documentario relativo a Caresana e al piccolo nucleo di carte casalesi, viste all’interno del panorama delineato nelle pagine precedenti, si rivelano non prive di valore.

Procedendo con ordine, conviene tornare per un momento all’investitura rogata nel settembre 1115 dal notaio «Fulcaldus qui et Donumdei»6. Per quando è dato sapere essa fu la prima di una serie sostanziosa di operazioni finanziarie che un «Paulus qui et Bellencius filius quondam Gisulfi de Rodobio» (proveniente da Robbio, quindi, in Lomellina) e poi, dal maggio 1131, suo figlio Pietro Traffo – membri di una famiglia ben nota ai medievisti che si sono occupati dell’Italia nord occidentale dell’XI e XII secolo7 – con- [p. 38 modifica]dussero, mobilizzando le loro risorse finanziare su beni facenti capo al complesso fondiario che aveva costituito un tempo la corte di Caresana e che, nelle carte dei decenni di cui ora brevemente ci si occuperà, appariva essere passato in gran parte nelle mani dei concessionari della canonica eusebiana, che ne disponevano liberamente, senza che la chiesa venisse neppure menzionata se non, di tanto in tanto, come proprietario eminente, cui erano dovuti tenui canoni consuetudinari. La nutrita serie di carte su cui ora ci si soffermerà brevemente può essere considerata più che rappresentativa riguardo al problema che qui interessa: per gli anni fino al 1137 basterebbe anzi aggiungere poco altro per avere un quadro completo, senza ottenere per altro elementi nuovi, mentre per gli anni successivi – nei quali, fino al 1150, non si hanno notizie di Pietro Traffo e dei suoi figli – le carte superstiti relative a Caresana e a Vercelli offrono una immagine di continuità della circolazione monetaria nella zona.

L’azione di Paolo e di suo figlio Pietro si delinea come un processo di accumulo progressivo di ricchezze fondiarie acquisite a vario titolo, ma sempre attingendo a risorse mobiliari denominate in moneta nuova di conio pavese, definita – ed è questo un punto di maggiore interesse – fino al luglio 1118 come denarii novi, «denarii novi Papie» o «denarii Papienses»8 e poi a partire dal settembre dello stesso anno e fino al 1131 «denarii novi albi Papienses»9. Il nuovo elemento di specificazione (e distinzione) relativo all’aspetto della moneta cadde dopo il 113110: per il periodo che va sino ad [p. 39 modifica]oltre il 1150 le menzioni di numerario nei documenti relativi a Caresana, a Vercelli o a località vicine continuano a essere espresse in denari nuovi di Pavia o semplicemente in denari di Pavia, in modo indifferente e senza dubbio per indicare la stessa moneta. Anche sulla destra del Po, a Casale, dove si ha traccia della circolazione di denari nuovi pavesi sin dalla fine dell’XI secolo11, gli sparsi documenti conservati nell’archivio della chiesa di Sant’Evasio confermano anche per i decenni successivi il dominio della moneta nuova pavese, con una sola menzione dei denari pavesi albe monete nel 1147, ben oltre il periodo di diffusione di questo etichettamento nel Vercellese12.

L’impressione generale di continuità e stabilità dello standard monetario che si ricava da quanto appena detto, impressione con ogni probabilità esatta, non deve indurre a trascurare l’indagine sul significato dell’introduzione dell’elemento qualificativo riguardante l’aspetto della moneta tra il 1118 e il 1131 (ma esso aveva ancora senso alla fine del periodo qui studiato, come attesta la carta casalese del 1147). Nell’interpretazione di questo fatto occorre giovarsi di quanto si è osservato di sopra a proposito della «mediana moneta Papie» attestata dalle fonti astigiane tra il 1123 e il 1138, anch’essa definita in un caso «de albis denariis»13: i bianchi denari nuovi pavesi compaiono nelle carte vercellesi pochi anni dopo la comparsa sul mercato monetario della nuova emissione pavese definita da Caffaro «moneta minorum brunitorum». Come avvenne ad Asti, nel Vercellese la nuova emissione pavese di denari deprezzati non attinse il livello delle transazioni documentate dai notai, sia che ciò accadesse per reazione a una tendenza troppo accentuata all’indebolimento della moneta (secondo il meccanismo di recupero studiato da Toubert) sia che ciò accadesse per il fatto, pure ipotizzabile, che il nuovo debole denaro bruno pavese fosse stato coniato con l’intenzione di soddisfare le esigenze di transazioni che richiedevano numerario dal potere liberatorio ridotto e che restavano fuori dal cerchio dei negozi documentati. Quest’ultima possibilità spiegherebbe sia la reazione dei notai alla novità sia, dopo poco più di un decennio, l’eclissi della nuova etichettatura monetaria, divenuta superflua in quanto i deboli denari bruni persistevano stabilmente nel soddisfare funzioni estranee alla sfera degli scambi documentati nello scritto. Un’ultima annotazione: anche nel caso vercellese, come si è già visto [p. 40 modifica]studiando la nomenclatura astigiana, la definizione di «moneta alba» per l’emissione della zecca pavese inaugurata all’alba del XII secolo non collima con la definizione datale da Caffaro di «nova moneta brunitorum».

Pur restando entro i confini medievali della diocesi di Vercelli (di cui faceva parte anche il territorio biellese studiato nel paragrafo precedente), occorre ora ampliare la visuale geografica per verificare come fuori dagli ambiti fin qui studiati il panorama della circolazione monetaria non fosse così uniforme e monotono. Prima di soffermarsi sulle carte relative alla località di Viverone, presso il lago omonimo al confine tra i territori di Vercelli e Ivrea, occorre dare conto di altri dati ricavabili da sparsi documenti conservati tra le carte dei canonici di Vercelli che consentono di individuare, ai margini settentrionali e orientali del territorio vercellese, l’esistenza di un circuito monetario alternativo a quello della moneta pavese. Con maggiore precisione esso può essere ricondotto alla fascia settentrionale del territorio vercellese a est di Biella (Gattinara e, più a sud, Oldenico) e ad aree di confine soggette a influenze contrastanti, come quella appena ricordata tra Ivrea e Vercelli (Cavaglià) o al limite del territorio vercellese verso quello novarese (Borgo Vercelli). La collocazione geografica sembrerebbe dunque un fattore che prevale rispetto ad altri nella determinazione dell’origine del numerario di riferimento. Si è già accennato di sopra a una vendita del 1126 di beni posti in Masserano per un prezzo espresso in moneta milanese14. In un breve di investitura rogato ad Arborio (sulla pianura a destra del Sesia, a nord di Vercelli) pochi anni dopo due messi dei canonici di Sant’Eusebio investirono una donna di beni in Oldenico (situato poco più a sud di Arborio) per un fitto annuale di quattro denari «Mediolanensium veterum» e una penalità di venti lire della stessa moneta15. Nel 1142 gli stessi denari milanesi vecchi costituirono la moneta di riferimento in una refuta relativa a beni e diritti situati in Bulgaro (Borgo Vercelli) sulla riva sinistra del Sesia, dirimpetto a Vercelli16. In una ulteriore refuta del luglio 1144, che coinvolge questa volta in modo più diretto la chiesa di Sant’Eusebio di Vercelli ed è relativa a un feudo costituito da beni geograficamente mal collocabili, il prezzo della rinunzia venne espresso nella stessa moneta17. I denari milanesi di vecchio conio, qualsiasi cosa significasse questa definizione, dovevano avere quindi una discreta dif[p. 41 modifica]fusione nella fascia di territorio a nord di Vercelli, da Biella, come si è già visto, verso est e lungo la striscia di territorio immediatamente a sinistra del Sesia, territori all’interno dei quali, come attesta incidentalmente un diploma di protezione rilasciato dal vescovo di Vercelli Gisulfo alla pieve di San Lorenzo di Gattinara del 114718, le chiese locali pagavano con ogni probabilità i censi destinati al vescovo di Vercelli in moneta milanese.

Il peso del fattore geografico nel favorire l’adozione di determinate monete, soprattutto in quanto standard contabili, nel perfezionamento degli scambi è confermato da dati ricavabili dalle poche carte relative alla porzione di territorio ai margini occidentali del Vercellese. Se, come accennavo, per questa ricerca riveste grande interesse quanto si può ricavare da un gruppo di documenti relativi a Viverone del quinto decennio del XII secolo, non va trascurato il poco che si può dire riguardo alla zona a sud del lago, che fu probabilmente, con Viverone, l’area più orientale di circolazione della moneta pittavina. Lo testimoniano una carta nomine pignoris rogata in Santhià nel gennaio 112819 e una concessione in beneficio da parte del vescovo di Vercelli Gisulfo di una rendita di tre denari in moneta pittavina sul porto di Saluggia20. Quasi vent’anni dopo la stessa moneta è attestata nelle disposizioni testamentarie di un importante signore territoriale, «Oddo qui dicor de Veurono de eodem loco», destinate principalmente alla chiesa di Sant’Eusebio di Vercelli21, e nelle connesse operazioni di vendita e refuta che negli anni successivi un suo parente fece in favore della stessa chiesa22. La [p. 42 modifica]moneta di conto dominante nella zona di Viverone era quindi quella detta pittavina. Quando però nella complessa questione dell’acquisizione dei diritti signorili di Oddo da parte dei canonici intervenne il giovane comune di Vercelli, che evidentemente poteva vantare una notevole capacità di intervento sulla zona, il denaro pagato dai canonici fu denominato in modo diverso: i consoli della città di Vercelli «pro communi utilitate suprascripte civitatis» concessero in beneficio ai canonici eusebiani le tre parti del castello di Viverone che erano state un tempo di Oddo, promettendo di garantire ai canonici l’esercizio dei loro diritti feudali sotto pena di quaranta lire di buoni denari pavesi e ricevendo per l’investitura ventidue lire e mezzo computate nella stessa moneta «datas in debito suprascripte civitatis»23.

Insomma Vercelli, come si è già visto, era parte stabile della sfera monetaria pavese, anche se la capacità dei canonici eusebiani di negoziare facendo ricorso a una pluralità di denominazioni monetarie diverse deve indurre il ricercatore, che oltrettutto dispone di una documentazione per diversi aspetti non particolarmente soddisfacente, a non sopravvalutare il fattore geografico. Le fonti notarili, del resto, offrono qualche avviso: nel dicembre del 1150 Olrico e Gualfredo detti de Albano acquistarono case e terre poste «in territorio huius civitatis Vercellarum, iuxta pascarium Sancti Eusebii» per tre lire e mezza «argentis denarios bonos Pictavensium»24.

Note

  1. Cfr. sopra nota 35 e testo relativo, dove è menzionato anche un documento casalese del 1100 nel quale sono per la prima volta attestati i «denarii novi».
  2. Ovvero la «nova moneta brunitorum» degli Annali genovesi: cfr. sopra, nota 89 e testo corrispondente.
  3. BSSS 70, pp. 84 sg., doc. 70 (30 marzo 1115, «in eclesia Sancti Eusebii ante crucem Domini que est prope canonicam ipsius eclesie»).
  4. BSSS 70, pp. 85 sg., doc. 71 (9 settembre 1115, «in villa Caresane in casa Loterii et Lanfranci fratres filii condam Aldeprandi»). Cfr. anche BSSS 70, pp. 97-99, doc. 82 (5 febbraio 1119, «in Burgo Vercellis in casa ipsius Bellencii»).
  5. Sopra, nota 89 e testo corrispondente.
  6. Cfr. nota 141 e testo relativo.
  7. Oltre a Groneuer, Caresana cit., pp. 142-159, si vedano, tra gli altri, Keller, Signori e vassalli cit., pp. 170 sg. e la bibliografia precedente citata nelle note; C. Violante, L’immaginario e il reale. I ‘Da Besate’: una stirpe feudale e ‘vescovile’ nella genealogia di Anselmo il Peripatetico e nei documenti, in Nobiltà e chiese nel Medioevo e altri saggi. Scritti in onore di Gerd Tellenbach, a cura di C. Violante, Roma 1993 (Pubblicazioni del Dipartimento di medievistica dell’Università di Pisa, 3), pp. 97-157, in particolare 148 sgg.; Barbero, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare cit., pp. 236-240 (in particolare pp. 239 sg.).
  8. BSSS 70, pp. 85 sgg.: quattro lire e due soldi «ex dena[riis] novis» nel settembre 1115 (doc. 71), sei lire «ex denariis novis» nel dicembre dello stesso anno (doc. 72), quattro lire e mezza «ex denariis novis» (e un censo annuo espresso in «denarios duos novis Papie») nell’ottobre 1117 (doc. 73), trentasei soldi «ex denariis novis» nell’ottobre 1117 (doc. 74), sei lire e otto soldi «ex denariis novis Papie» pochi giorni dopo (doc. 75), sei lire «ex denariis novis» il mese successivo (doc. 76), trenta soldi «ex denariis novis» nell’aprile 1118 (doc. 77), cinquantaquattro soldi in «denarios bonos novos Papienses» nel maggio 1118 (doc. 78), ventuno soldi «ex denariis novis» nel luglio 1118 (doc. 79).
  9. BSSS 70, pp. 94 sgg.: quattro lire e tre soldi «novos» (e il fitto annuo viene determinato in «denarios novos albos Papienses») nel settembre 1118 (doc. 80), otto lire sette soldi e otto denari «ex denariis novis albis Papiensis» nel dicembre successivo (doc. 81), cinquantacinque soldi «denarii novi» nel febbraio 1119 e «duos denarios novos albos Papienses» di fitto annuale (doc. 82), trenta nove soldi «ex denariis novis» e un denaro nuovo di censo annuale nell’agosto 1120 (doc. 83), due lire «ex denariis novis albis Papiensibus» nel dicembre 1122 (qui Paolo agisce per la prima volta con il figlio, qui detto Petrusbonus, mentre la controparte è costituita da Alberto Ravarina, fratello di Paolo, e dal figlio di Alberto, Ambrogio) (doc. 85), sei lire «denarii novi albi Papienses» nel gennaio 1124 (doc. 86), sei lire meno sei soldi «ex denariis novis albis Papiensibus» nel novembre dello stesso anno (doc. 87), trentaquattro soldi «ex denariis novis albis Papie» nell’aprile 1130 (doc. 97), sei lire e sette soldi «denariorum bonorum novorum alborum Papiensium libras» nel maggio 1131 nel primo documento in cui Pietro «habitator in Burgo Vercellarum» cognominato Traffus del fu Paolo «qui nominabatur Bellencius» agisce da solo (doc. 99). Cito qui le carte estranee al gruppo dei documenti relativi ai Traffo attestanti la circolazione di «denarios novos albos Papienses» di data compresa tra il 1126 e il 1130: BSSS 70, pp. 108 sgg., docc. 91-94, 98.
  10. Le carte relative a Pietro Traffo posteriori al 1131 recano le seguenti menzioni di numerario: BSSS 70, pp. 110 sgg., nell’agosto 1133 tredici soldi e quattro nummos «denariorum bonorum novorum Papiensium» (doc. 102), nel dicembre 1134 ventotto soldi generici e due denari «denariorum novorum Papiensium» (doc. 104) e nel maggio del 1135 trentotto soldi (doc. 107) sempre della stessa moneta, forse venti soldi poco dopo, nello stesso mese (doc. 105), sei lire nel marzo 1137 (doc. 110). Per le carte estranee ai Traffo tra il 1134 e il 1150 si veda BSSS 70, pp. 112 sgg., docc. 103, 106, 109, 111, 113, 114, 115, 117, 120 (bis), 121, 123, 131, 135, 136, 142, 143, 144, 145, 158, 150, 151; BSSS 85/2, pp. 213 sg., doc. 1.
  11. Cfr. sopra, testo relativo alla nota 35.
  12. Le testimonianze, fatta eccezione per una carta del 1118 (BSSS 40, pp. 12-14, doc. 9), si concentrano tutte negli ultimi anni del periodo qui preso in considerazione: BSSS 40, pp. 22 sgg., docc. 14, 15, 16, 18 degli anni 1147 e 1150 (il doc. 14 è quello che menziona i denari pavesi «albe monete»). In una vendita del 1105 (BSSS 40, pp. 7 sg., doc. 5) il prezzo è espresso in moneta non etichettata.
  13. Si veda sopra, testo relativo alle note 84-92.
  14. BSSS 70, pp. 107 sg., doc. 90: cfr. sopra testo relativo alla nota 131.
  15. BSSS 70, pp. 124 sg., doc. 101 (13 ottobre 1132, «In villa Arborii in porticu calonica prope ecclesiam Sancti Martini»).
  16. BSSS 70, pp. 140 sg., doc. 118 (24 marzo 1142, s. l.): Rolando e Giacomo, zio e nipote, refutano in favore di Otto «qui nominatur Guardabecco» diritti su un manso in Bulgaro di proprietà della cattedrale eusebiana. La penale venne fissata in dieci lire «denariorum bonorum Mediolanensium veterum» a carico dei refutanti, in favore dei quali venne stabilita una garanzia di venti soldi della stessa moneta, mentre dal beneficiario ebbero in cambio per la refuta venti soldi ancora della stessa moneta.
  17. BSSS 70, pp. 148 sg., doc. 122 («in porticu archipresbiteri», verosimilmente a Vercelli): un Oglerio rinunziò in favore della chiesa di Sant’Eusebio ai diritti che aveva su un feudo che tene va da un Maginfredo de Castello in cambio di tre lire e cinque soldi di moneta milanese vecchia e di altre minori contropartite.
  18. BSSS 70, pp. 165-168, doc. 134 (la citaz. da p. 167): alla pieve vennero concessi, tra l’altro, i «solidos Mediolanensium veterum» che la chiesa di Mosso (sulla montagna biellese) pagava, come si espresse il vescovo, «octo camere nostre et duos de catedratico».
  19. Documenta un sorta di posizione di garanzia fondiaria sulla dote, ammontante a due lire di denari pittavini, conferita da una donna alla famiglia del marito: BSSS 70, pp. 115 sg., doc. 95 (e cfr. BSSS 70, pp. 116 sg., doc. 96).
  20. BSSS 85/2, p. 214, doc. 2 (10 marzo 1149, «in palacio Vercellensis episcopii»): Gisulfo investì in feudo a Guala Avogadro, «germanum et fidelem suum», e ai suoi nipoti «nominative de tribus denariis Peitavinensis monete in portu de Salugia perpetuo iuris Sancti Eusebii». Cfr. F. Savio, Gli antichi vescovi d’Italia dalle origini al 1300. Il Piemonte, Torino 1899, p. 480.
  21. BSSS 70, pp. 153 sg., doc. 126 (luglio 1145, «in domo suprascripti Odonis iuxta castrum supra scripti loci Veuroni»): alla chiesa di Sant’Eusebio di Vercelli, vennero destinati tutti i beni fondiari che Oddo aveva nel territorio di Viverone, fatta eccezione per ciò che destinò ad altre chiese; stabilì anche un lascito annuale di due soldi «Peitadinensis monete» per la celebrazione di un anniversario nella cattedrale di Sant’Eusebio. Tra le altre chiese beneficiate figura l’ospizio del Gran San Bernardo, cui lasciò un manso in Viverone a condizione che l’ospizio pagasse le sei lire «Peitadinensium denariorum» per cui il manso era stato appignorato. Il patto successorio venne iterato e precisato l’anno successivo a Vercelli «in porticu canonice Sancti Eusebii iusta rugiam», quando Oddo, in presenza di un gruppo di laici eminenti evidentemente legati alla chiesa, annullò anche il patto di successione che aveva stipulato con i suoi parenti: BSSS 70, pp. 158-160, doc. 129.
  22. BSSS 70, pp. 162-164, doc. 132 (31 marzo 1147, «in villa de Veurono in casa Eurardi de Rivo»): Vuiberto, parente di Oddo, vende insieme con sua moglie ai canonici di Sant’Eusebio beni e diritti al prezzo di quindici lire di «denarios bonos de Pictavinis», rinunziando anche, in favore degli stessi canonici e per venti soldi di conio non specificato, ai diritti che aveva sulla successione e i beni dello stesso Oddo. Per la rinunzia, avvenuta lo stesso giorno, Vuiberto e sua moglie ricevettero «pro launechild crosnam unam pro precio de viginti solidis, ut hec finis omni tempore firma permaneat»: BSSS 70, pp. 164 sg., doc. 133 («In villa de Veurono in curte Eurardi de Rivo»). Vuiberto iterò la rinunzia l’anno successivo, con una carta promissionis che fa esplicito riferimento alla donazione che Oddo aveva fatto ai canonici, ricevendo questa volta quindici lire di moneta pittavina: BSSS 70, pp. 171 sg., doc. 137 (8 aprile 1148, «in porticu ecclesie Sancti Eusebii»).
  23. Ovvero per sanare parte del debito del comune: BSSS 70, pp. 172 sg., doc. 138 (17 maggio 1149, «in contione ante ecclesiam Sancte Marie coram omni populo») (= BSSS 8, pp. 17 sg., doc. 6, altro esemplare del medesimo doc.). Nello stesso giorno i consoli di Vercelli vendettero agli stessi canonici tutto ciò, recita il testo, «quod habemus in villa Veuroni a parte condam Odonis de Veurono pro comuni huius civitatis» per quindici lire pavesi: BSSS 8, pp. 16 sg., doc. 5. Cfr. P. Grillo, Il comune di Vercelli nel secolo XII: dalle origini alla lega lombarda, in Vercelli nel secolo XII cit., pp. 171-173. L’uso, a questa altezza cronologica, dell’espressione debitum civitatis è interessante: cfr., per i debiti contratti dal comune di Pisa in periodo consolare, C. Violante, Le origini del debito pubblico e lo sviluppo costituzionale del Comune, in C. Violante, Economia società istituzioni a Pisa nel Medioevo. Saggi e ricerche, Bari 1980, pp. 67-100 (il saggio comprende una appendice documentaria a cura di M.L. Ceccarelli Lemut).
  24. BSSS 70, pp. 181 sg., doc. 146 («in suprascripta civitate in curia suprascripti Gualfredi»).