Mario Rapisardi

1892 Indice:Opere di Mario Rapisardi 5.djvu Poesie Letteratura Per Nino Bixio Intestazione 23 maggio 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta L'Empedocle ed altri versi


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PER NINO BIXIO


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Lui non Indica tabe o ferro aguzzo
     Di selvaggio arco in mostruose rive
     Domò: fallace erra la fama; ei vive,
                    Odi, Salluzzo.

Là nel magico regno, ove s’infronda
     Sereno il Mito, e fra’ rami vocali
     Sacre alle chiome degli eroi feconda
                    Rose immortali,

Di morbi immune e di vecchiezza ei porge
     Purpureo il labbro all’eraclèa bevanda;
     Ecco, fra’ prodi che gli fan ghirlanda
                    Splendido sorge,

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E parla: O voi, che al Campidoglio appesi
     I triplici vessilli e i fausti acciari,
     Meco fra’ nembi e l’irte razze illesi
                    Correste i mari.

Qui più oltre indugiar, non inquíeta
     Brama d’aquisti o torbido costume,
     Patrio dover, ch’a’ generosi è nume,
                    Solo a noi vieta.

Forse di ferree braccia e d’animosi
     Cori la patria, ahi sì diversa, abbonda,
     Che tener ne sia dato in obliosi
                    Ozj la sponda?

Tale una gioventù vacua e superba,
     Dotta in lascivie, al traccheggiar prudente,
     Per le tue prode, Italia, al tuo ridente
                    Cielo s’aderba,

Ch’io vorrei, se per queste aure perdute
     L’ire sue non avesse il petto audace,
     Piombar su lei, qual su le torme brute
                    Piombava Ajace.

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Verrai! E calde ancor son l’ossa de’ Due,
     Ond’ebbe il sogno d’Alighieri effetto!
     O roditrice d’ogni eccelso affetto,
                    Perfida lue,

Che i polsi infrangi all’italo paese,
     Per te su l’opra avara il popol langue,
     Cui spreme la ghignante Idra borghese
                    Lacrime e sangue;

Per te le terre isterilite e grame
     Vaporan morte all’affannosa plebe,
     Che spera invan per l’oceanie glebe
                    Domar la fame;

Dura al regno per te chi, da senili
     Ire e da smanie usurpatrici ossesso,
     In turpi astuzie e in tracotanze vili
                    Smaga sè stesso;

E al trono inerte, a cui la turba ignava
     Stringesi in dubbio e sen fa scudo e tromba,
     Per troppa fede in sua virtù, la tomba
                    Stolido scava.

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Ah, tal non era il dì, ch’erto fra’ primi
     Sciogliea di Quarto alla fatal vendetta:
     Tanto dunque il poter le più sublimi
                    Anime infetta?

Ma regni e segua suo destin l’infida
     Ciurma che leggi invade e dritti infesta:
     Ambizion più pura, e più modesta
                    Gloria a noi rida.

Violento poter guizzo è che segna
     D’atra luce alla Storia il sen profondo:
     La concorde ed onesta opera regna
                    Unica il mondo.

A noi Liguri, a cui dieder l’austere
     Virtù degli avi odiar tiranni e cherci,
     Gloria è la libertà, vita i commerci,
                    Legge il dovere.

O amate rive, o de’ recenti eroi
     Sepolcri, o altari della gloria avita,
     O patrie leggi, anco una volta a voi
                    Darem la vita!

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Noi gioverà, tra perigliose prove
     Nemici euri sfidando e sirti e mostri,
     Ai regni, all’arti, a’ sentimenti nostri
                    Schiuder vie nuove;

E all’aspre razze, dall’insonne ingegno
     Nostro sorprese e da virtù sol dome,
     Recar, di civiltà provvido pegno,
                    L’italo nome.

Venite, amici: l’augurata prora
     Ferma alla rada il nostro peso attende;
     Già solleva il mattin le rosee tende:
                    Propizia è l’ora.

Generose virtù, vivo tesoro
     Porti il cor vostro d’ideali umani;
     Pii strumenti di pace e di lavoro
                    Portin le mani.

Ma da infingarda ruggine corrose
     Non restin qui le nostre spade: ahi, bieco
     Destin, che mi costringi a recar meco
                    L’armi odiose!

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O Pace, ecco a te libo: a te dal mero
     Cristal che un’aura inebbriante esala.
     Verso il licore, in cui scintilla il fiero
                    Sol di Marsala.

Verrà l’ora a te sacra; entro il tuo caro
     Tempio deposte alfin l’armi devote,
     Me, già guerrier, vedrai tuo sacerdote
                    Là sul Quarnaro.