Per Nino Bixio
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PER NINO BIXIO
Lui non Indica tabe o ferro aguzzo
Di selvaggio arco in mostruose rive
Domò: fallace erra la fama; ei vive,
Odi, Salluzzo.
Là nel magico regno, ove s’infronda
Sereno il Mito, e fra’ rami vocali
Sacre alle chiome degli eroi feconda
Rose immortali,
Di morbi immune e di vecchiezza ei porge
Purpureo il labbro all’eraclèa bevanda;
Ecco, fra’ prodi che gli fan ghirlanda
Splendido sorge,
E parla: O voi, che al Campidoglio appesi
I triplici vessilli e i fausti acciari,
Meco fra’ nembi e l’irte razze illesi
Correste i mari.
Qui più oltre indugiar, non inquíeta
Brama d’aquisti o torbido costume,
Patrio dover, ch’a’ generosi è nume,
Solo a noi vieta.
Forse di ferree braccia e d’animosi
Cori la patria, ahi sì diversa, abbonda,
Che tener ne sia dato in obliosi
Ozj la sponda?
Tale una gioventù vacua e superba,
Dotta in lascivie, al traccheggiar prudente,
Per le tue prode, Italia, al tuo ridente
Cielo s’aderba,
Ch’io vorrei, se per queste aure perdute
L’ire sue non avesse il petto audace,
Piombar su lei, qual su le torme brute
Piombava Ajace.
Verrai! E calde ancor son l’ossa de’ Due,
Ond’ebbe il sogno d’Alighieri effetto!
O roditrice d’ogni eccelso affetto,
Perfida lue,
Che i polsi infrangi all’italo paese,
Per te su l’opra avara il popol langue,
Cui spreme la ghignante Idra borghese
Lacrime e sangue;
Per te le terre isterilite e grame
Vaporan morte all’affannosa plebe,
Che spera invan per l’oceanie glebe
Domar la fame;
Dura al regno per te chi, da senili
Ire e da smanie usurpatrici ossesso,
In turpi astuzie e in tracotanze vili
Smaga sè stesso;
E al trono inerte, a cui la turba ignava
Stringesi in dubbio e sen fa scudo e tromba,
Per troppa fede in sua virtù, la tomba
Stolido scava.
Ah, tal non era il dì, ch’erto fra’ primi
Sciogliea di Quarto alla fatal vendetta:
Tanto dunque il poter le più sublimi
Anime infetta?
Ma regni e segua suo destin l’infida
Ciurma che leggi invade e dritti infesta:
Ambizion più pura, e più modesta
Gloria a noi rida.
Violento poter guizzo è che segna
D’atra luce alla Storia il sen profondo:
La concorde ed onesta opera regna
Unica il mondo.
A noi Liguri, a cui dieder l’austere
Virtù degli avi odiar tiranni e cherci,
Gloria è la libertà, vita i commerci,
Legge il dovere.
O amate rive, o de’ recenti eroi
Sepolcri, o altari della gloria avita,
O patrie leggi, anco una volta a voi
Darem la vita!
Noi gioverà, tra perigliose prove
Nemici euri sfidando e sirti e mostri,
Ai regni, all’arti, a’ sentimenti nostri
Schiuder vie nuove;
E all’aspre razze, dall’insonne ingegno
Nostro sorprese e da virtù sol dome,
Recar, di civiltà provvido pegno,
L’italo nome.
Venite, amici: l’augurata prora
Ferma alla rada il nostro peso attende;
Già solleva il mattin le rosee tende:
Propizia è l’ora.
Generose virtù, vivo tesoro
Porti il cor vostro d’ideali umani;
Pii strumenti di pace e di lavoro
Portin le mani.
Ma da infingarda ruggine corrose
Non restin qui le nostre spade: ahi, bieco
Destin, che mi costringi a recar meco
L’armi odiose!
O Pace, ecco a te libo: a te dal mero
Cristal che un’aura inebbriante esala.
Verso il licore, in cui scintilla il fiero
Sol di Marsala.
Verrà l’ora a te sacra; entro il tuo caro
Tempio deposte alfin l’armi devote,
Me, già guerrier, vedrai tuo sacerdote
Là sul Quarnaro.