Pensieri e giudizi/I/VIII

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VIII.


Si grida da un pezzo su la decadenza degli studi e su la necessità di riformarne gl’istituti e le leggi. Retorica! E maligna. Chi più si arrabattono sono i canonici ingordi e i famelici docenti delle università così dette primarie: abolendo infatti le minori, crescerebbe il numero dei loro uditori, crescerebbero le dotazioni ai famosi gabinetti e crescerebbero i loro proventi. Bocche enormi e stomachi insaziabili che inghiottono e digeriscono due terzi almeno di quel poco che dà l’erario italiano all’Istruzione. Col tornaconto si aggiunge il mal animo contro i professori ufficiali che hanno stipendio fisso e, fin a oggi, securo: quando essi devono correre in caccia di studenti e accalappiarli e sedurli con ogni arte e fatica, piatendo a questo e a quello e raccomandandosi perfino ai bidelli, loro mezzani, a cui [p. 17 modifica]dànno un tanto per ogni iscritto. E si contentassero di queste bassezze! Ma l’astuzia lor consiglia più malefiche industrie. Imborrano le teste dei giovani di strane teoriche di libertà, li gonfiano d’ipotetici diritti, li piaggiano vilmente dando loro a credere esser da più dei professori, potere anzi giudicarli e condannarli a lor beneplacito, assoggettarli ai loro capricci, costringerli a non far lezione come e quando lor piace, anche con la violenza, sfondando cattedre, spezzando panche, scioperando e facendo scioperare: onde, a ogni menomo screzio, uno scandalo e un fracasso; e il ministro coglione dà sempre ragione a loro per paura di peggio.

E questi arruffa-studenti, questi cacciatori di soldi e popolarità hanno il coraggio di parlare e gridare e tribuneggiare su la disciplina scaduta negli istituti superiori! Malvagi e ridicoli! E la pecoraggine del parlamento e del paese fa eco alle loro invettive. La disciplina! O se siete voi primi a scalzarla? E se leva ed arma ed arte unica vostra è l’indisciplinatezza su cui speculate e vivete?

Gli studi sono scaduti. E chi lo nega? Ma la principale cagione materiale, esterna siete voi. Un’altra causa di scadimento vi è, ma bisogna cercarla nell’intimo, negli studi stessi, e nel metodo, sopra tutto. Si tira a specializzare. Padroni. Di ogni ramificazione del sapere, che dico?, di ogni capitolo, di ogni paragrafo di scienza, si fa una scienza a sè e un insegnamento a parte. [p. 18 modifica]crescono i professori, e a servigio di costoro si moltiplicano e s’inventano le cattedre e le scienze. Nella facoltà di medicina abbiamo i microscopisti e i vivisettori. Chi ha da insegnare zoologia fa corsi annuali sul tenia, sul bacillo virgola. I giovani escono dall’Università, e per tutta zoologia sapranno di quante specie è il tenia, di quante vertebre è composto, quanti uncini e quanti peli ha. Evviva la specializzazione! Barbara voce e barbaro metodo. Poi ci sono gli sbuzzacani e gl’inforna-conigli. E queste ce la dànno per fisiologia! La specializzazione è la putrefazione della scienza. I vermi trionfano. E i ciarlatani. Nella facoltà di lettere abbiamo i filologi: peste delle pesti. Squartano le parole e le sillabe: grammatica e metrica con pompa ciarlatanesca; non altro: son buoni a far cento lezioni sul dativo dinamico! E poi ci meravigliamo che i giovani aborrano il greco e il latino. E ci s’empie la bocca di paroloni grossi su la decadenza degli studi classici. Sfido io. Santi giovani, e un po’ pecore, se vogliamo! Se avessero un po’ di argento vivo, li farebbero ballare codesti insegnanti di radici e di suffissi! E la letteratura italiana? Prima c’erano i professori estetici e i professori patriotti. Ignoranti un po’, se dio vuole, ma uomini e galantuomini, dalla cui scuola è uscito tutto quanto ora abbiamo di meglio nella letteratura. Ora abbiamo i critici del metodo storico filologico. Cronisti e archivisti, aridi e miserabili. Adesso la data, il quarto d’ora, la notiziola biografica, [p. 19 modifica]la pompa bibliografica: ecco la loro occupazione. Ma come si svolge il pensiero letterario in quel dato secolo? quanti sono le sue caratteristiche? come si trasformano? per quali motivi? in quali circostanze? Nulla di nulla. Sogghignano a chi di ciò parli, carezzandosi la pancetta con soddisfazione superba.

Lezioni e discorsi e libri interi per discutere lo svarione di un amanuense cretino: dissertazioni e controversie accanite per sapere se Dante aveva la barba, se Alighieri s’ha da scrivere con due elle, se Ciullo d’Alcamo è Cielo da Camo, se Beatrice è simbolo. E questa è letteratura italiana. Un pugno di mosche. Zavorra nel cervello; prosunzione e vanità nel cuore. Che precetti ed esempi da nobilitare il carattere, da ingentilire i costumi, da moderare e dirigere le passioni! Umanità, dicevano i vecchi: animalità ora dovrebbesi dire, e peggio: chè più pretenziosi di questi asini carichi di notizie non si dànno.

E voi volete rialzare il livello della pubblica cultura, abolendo università minori, che, viceversa, son le più acconce agli studi; riformando ab imis gli statuti; arricchendo quattro empori di ciarlatanismo a spese di tante altre Provincie diseradate; facendo man bassa su questo o quell’altro Ateneo? O via, ciarlatani! Riformate le vostre teste, e cacciate i mercanti dal tempio, se vi riesce.