Pensieri e discorsi/L'Eroe italico/I

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L'Eroe italico - Introduzione L'Eroe italico - II
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I.


Egli s’è addormito nella sua isola. Due bambine sue gli fanno compagnia. Il mare instancabile si muove azzurreggiando intorno a quell’immobilità, e s’alza e s’abbassa, e s’alza ancora e sempre, come per vedere che è. Nulla! Nulla! E il mare non cessa mai di parlare intorno a quel silenzio, sciusciuliando (come dite voi) sulla sabbia e gemendo tra le [p. 192 modifica]scogliere. E forse lo vuol destare, il suo mare, e gli dice con ripetìo eterno:

— Vieni, vieni su me! andiamo a combattere sull’Atlantico, andiamo a sognare sul Pacifico! Vieni ad arrampicarti sulla snella alberatura della Costanza, che era così bella! La tua giovinezza l’abbelliva. Tu non sapevi allora che c’era una patria da redimere; ma il nome del brigantino era già l’augurio della tua vita. Vieni sulla Speranza! La Speranza che ti ricondusse in Italia, si culla ancora nei mari d’Italia: vieni a issarvi la tua bandiera, vieni a cantarvi il tuo canto! Torniamo al Fiume di argento. C’è tanta Italia che lavora sulle rive del gran fiume! Si amano, colà, tra loro, Italiani e Argentini, e lavorano concordi, parlando le due lingue, che tu, amigo, conosci bene, tutte e due. Navighiamo alle porte del Tevere: andiamo a vedere coloni più vicini, i coloni di Ravenna, che mietono. Ti farà piacere vederli: sono tuoi soldati che hanno la vanga invece del fucile. La tua vista farà loro dimenticare la febbre. Tanto più che non vedono ormai un altro, il tuo amico Re, che andava a stringere le loro mani incallite... Andiamo anche più presso: andiamo a Spezia: non ti fermerai al Varignano. Vieni, col tuo gran cuore marino i cui palpiti sono alisei e monsoni, ad esultare avanti la Regina Margherita... Una nave d’Italia, non la donna d’Italia: avanti questa, povera donna, ormai si piange... Ma esulterai avanti la più grande e bella nave del mondo, che porterà “la nostra bandiera alle feconde lotte della pace e del lavoro„, e sì, quando occorra, “anche ai pericoli delle battaglie, ove siano dritti da difendere e glorie da conquistare„. Sono parole che ha mandate la donna alla nave, da lontano, ove ella [p. 193 modifica]sta tra una culla che ieri cominciò a tremare1, e una immobile tomba... Andiamo! andiamo al Faro! Ti ricordi? Era tutto fiorito di camicie rosse, nell’anno sessanta. Eri entrato nella fiera Messina, la città fedele, che chi le si dà, non lo rende se non sepolto, se mai, sotto le sue rovine. Eri entrato nella testa di ponte dell’unità italiana. Ti ricordi? Il cavallo di Bosco, tra le gambe di Medici, come faceva sonare l’unghie di ferro sul lastrico della via!... Andiamo al Faro. Ti ricordi? Dalla Torre guardavi e guardavi verso Aspromonte... Ah! è vero... Non ricordarti. O guardiamo, guardiamo pure, ma senza avvicinare con le lenti del rancore le cose lontane. Guarda così, e dimmi se vedi quel bosco e quella cascina e quel sangue. Oh! no: tutto si fonde in un solo limpido azzurro, come di cielo che abbia dimenticate le nuvole, come di mare che abbia perdonato alla tempesta. —

Così sussurra il mare, e s’alza e s’abbassa, e torna ad alzarsi, mollemente ed eternamente, per vedere che è quel silenzio e quell’immobilità.

E a volte brontola e mormora e si ostina e grida e urla: — Déstati: c’è da fare! Lontano lontano c’è una conca tra aride ambe, una valle tutta sangue! sangue nostro! Non sono de’ tuoi; sono di quelli del Re; ma c’è tanto sangue, tanto rosso, che si crederebbero tue camicie rosse. E poi, chi sa? Pare che a un Castel Morrone che si chiama Amba-Alagè, sia risuscitato il tuo Pilade Bronzetti, per rimorire subito. È il maggior Toselli: non è de’ tuoi? E senti che frenetici scoppi! Non sono le batterie di Bezzecca? [p. 194 modifica]No: sono le batterie siciliane; ma è lo stesso. Vieni! Vieni! Vieni a dire la gran parola: s’ha da restare, colà in Africa, o venir via? avanzare o retrocedere? Parla, e l’Italia dirà “obbedisco„, perchè un tuo consiglio di ritrarsi non può essere interpretato abbandono, e un tuo comando di avanzare non può essere considerato sacrifizio. Senza il tuo avviso, gl’italiani sono perplessi, e il nome italiano ne patisce, dovunque è il lavoro italiano, cioè in tutto il mondo... Oh! che sogno fa il tuo gran mare! Garibaldi che conduca in qualche terra del fuoco una dura colonia di lavoratori enotrii con la camicia rossa sotto la blusa! una primavera sacra che fiorisca oltre gli Oceani! un popolo nuovo di domatori di cavalli selvaggi, che si chiami garibaldino o italiano, che è lo stesso! Déstati, c’è da fare, molto da fare, sempre da fare. La gioventù nostra è spersa, incerta, inerte. Non potresti fare udire uno squillo di quella che tu dicesti “la tromba del dovere„? —

E poi l’eterno mare torna a parlare sommesso, come volesse, bensì, destare il vecchio eroe, ma lasciar dormire le piccole sue compagne. — C’è bisogno di te: c’è bisogno di ideale e di fede, sempre mai, più che mai. —

E non tace mai, e nell’isola piena di sacro sonno erra l’odor salso di viaggio e d’avventura. Fiameggiano i gerani rossi ch’egli piantò, e ronzano le api de’ suoi bugni, e s’ode qualche belato tremolante di capre che pendono dai dirupi. Tratto tratto qualche colpo di cannone dall’estuario o dalle navi da guerra bombisce ed echeggia a lungo. E poi torna a sonare, uguale e continuo, il gridìo delle cicale di sui lentischi e di sui mirti e di su le acacie che dovevano servire [p. 195 modifica]al rogo dell’eroe. E tra lo stridere delle cicale e lo sciusciuliare del mare, si levano con l’accento di chi domandi alcunchè, le voci di sufolo delle capinere ch’erano presso la sua finestra, quando morì.

Morì? Due squilli, due gridi: si scopron le tombe, e Garibaldi è avanti noi.

Note

  1. Era il 2 di giugno del 1901.