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194 | pensieri e discorsi |
No: sono le batterie siciliane; ma è lo stesso. Vieni! Vieni! Vieni a dire la gran parola: s’ha da restare, colà in Africa, o venir via? avanzare o retrocedere? Parla, e l’Italia dirà “obbedisco„, perchè un tuo consiglio di ritrarsi non può essere interpretato abbandono, e un tuo comando di avanzare non può essere considerato sacrifizio. Senza il tuo avviso, gl’italiani sono perplessi, e il nome italiano ne patisce, dovunque è il lavoro italiano, cioè in tutto il mondo... Oh! che sogno fa il tuo gran mare! Garibaldi che conduca in qualche terra del fuoco una dura colonia di lavoratori enotrii con la camicia rossa sotto la blusa! una primavera sacra che fiorisca oltre gli Oceani! un popolo nuovo di domatori di cavalli selvaggi, che si chiami garibaldino o italiano, che è lo stesso! Déstati, c’è da fare, molto da fare, sempre da fare. La gioventù nostra è spersa, incerta, inerte. Non potresti fare udire uno squillo di quella che tu dicesti “la tromba del dovere„? —
E poi l’eterno mare torna a parlare sommesso, come volesse, bensì, destare il vecchio eroe, ma lasciar dormire le piccole sue compagne. — C’è bisogno di te: c’è bisogno di ideale e di fede, sempre mai, più che mai. —
E non tace mai, e nell’isola piena di sacro sonno erra l’odor salso di viaggio e d’avventura. Fiameggiano i gerani rossi ch’egli piantò, e ronzano le api de’ suoi bugni, e s’ode qualche belato tremolante di capre che pendono dai dirupi. Tratto tratto qualche colpo di cannone dall’estuario o dalle navi da guerra bombisce ed echeggia a lungo. E poi torna a sonare, uguale e continuo, il gridìo delle cicale di sui lentischi e di sui mirti e di su le acacie che dovevano servire