Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/998
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di lontano a Fozio, uomo nei pregi della lingua e dello stile non dissimile dagli antichi, e superiore agli stessi antichi nell’erudizione e nel giudizio e critica letteraria, doti proprie di tempi piú moderni. Tenendomi però a’ tempi bassissimi, e potendo recare infiniti esempi, mi contenterò degli scritti di quel Giovanni Tzetze, che fu nel dodicesimo secolo, e di Teodoro Metochita che viveva nel decimoquarto; scritti pieni di indigesta ma immensa erudizione classica. Secondariamente, la mia proposizione apparisce da quei greci che vennero in Italia nel trecento e, dopo la caduta dell’impero greco, nel quattrocento. E mentre in Italia si risuscitavano gli antichi scrittori latini, che giacevano sepolti e dimenticati da tanto tempo nella loro medesima patria, i greci portavano qua il loro Omero, il loro Platone e gli altri antichi, non come risorti o disseppelliti fra loro, ma come sempre vissuti. Della erudizione e dottrina di quei greci, delle cose che fecero in Italia, delle cognizioni che introdussero, delle opere che scrissero, parte in greco, ed alcune proprio eleganti, parte in latino, riducendosi allora finalmente per la prima volta ad usare il linguaggio de’ loro antichi e già distrutti vincitori, essendo esse notissime, non accade se non accennarle (29 aprile 1821).