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328 pensieri (998-999)

Secondariamente, la mia proposizione apparisce da quei greci che vennero in Italia nel trecento e, dopo la caduta dell’impero greco, nel quattrocento. E mentre in Italia si risuscitavano gli antichi scrittori latini, che giacevano sepolti e dimenticati da tanto tempo nella loro medesima patria, i greci portavano qua il loro Omero, il loro Platone e gli altri antichi, non come risorti o disseppelliti fra loro, ma come sempre vissuti. Della erudizione e dottrina di quei greci, delle cose che fecero in Italia, delle cognizioni che introdussero, delle opere che scrissero, parte in greco, ed alcune proprio eleganti, parte in latino, riducendosi allora finalmente per la prima volta ad usare il linguaggio de’ loro antichi e già distrutti vincitori, essendo esse notissime, non accade se non accennarle (29 aprile 1821).  (999)


*    Alla p. 996. E la letteratura latina non poté impedire che la sua lingua non si spegnesse, laddove la greca ancor vive, benché corrotta, perché, sapendo il greco antico, si arriva anche senza preciso studio a capire il greco moderno; non cosí, sapendo il latino, a capir l’italiano ec. Onde la presente lingua greca non si può distinguere dall’antica, come l’italiano ec. dal latino, che son lingue precisamente diverse, benché parenti. E neppure si capisce l’italiano sapendo il francese, né ec. (29 aprile 1821). Vedi p. 1013, capoverso 1.


*    In prova di quanto la lingua greca fosse universale, e giudicata per tale, ancor dopo il pieno stabilimento e durante la maggiore estensione del dominio romano e de’ romani pel mondo, si potrebbe addurre il Nuovo Testamento, codice della nuova religione sotto i primi imperatori, scritto tutto in greco, quantunque da scrittori giudei (cosí tutti chiamano gli ebrei di que’ tempi); quantunque l’Evangelio di