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(997-998) | pensieri | 327 |
era piú riconoscibile, e nessuno sognava d’imitare i loro antichi), la lingua greca, sebbene imbarbarita, conserva però visibilissime le sue proprie sembianze, ed in parecchi è scritta con bastante purità e si riconosce evidentemente in alcuni di loro l’imitazione e lo studio de’ loro classici e quanto alla lingua e quanto allo stile, sebbene degenerante l’una e l’altro nel sofistico, il che non toglie la purità quanto alla lingua. Arrivo a dire che in taluni di loro, e ciò fino agli ultimissimi anni dell’impero greco, si trova perfino una certa notabile eleganza e di lingua e di stile. In Gemisto è maravigliosa l’una e l’altra. Tolti alcuni piccoli erroruzzi di lingua, non tali che sieno manifesti se non ai dottissimi, le sue opere o molte di loro si possono sicuramente paragonare e mettere con quanto ha di piú bello la piú classica letteratura greca e il suo miglior secolo. Oltre a ciò l’erudizione e la dottrina filologica e lo studio de’ classici è manifesto negli scrittori greci piú recenti, a differenza de’ latini. Gli antichi classici e singolarmente Omero, benché il piú antico di tutti, non lasciarono mai di esser citati negli scritti greci, finché la Grecia ebbe chi scrivesse. E vi si alludeva spessissimo ec. Non domanderò ora qual uomo latino nel terzo secolo si possa paragonare a un Longino o a un Porfirio. Non chiederò che mi si mostri nel nono secolo, anzi in tutto lo spazio che corse dopo il secondo secolo fino al decimoquarto, un latino, non dico uguale, ma somigliante (998) di lontano a Fozio, uomo nei pregi della lingua e dello stile non dissimile dagli antichi, e superiore agli stessi antichi nell’erudizione e nel giudizio e critica letteraria, doti proprie di tempi piú moderni. Tenendomi però a’ tempi bassissimi, e potendo recare infiniti esempi, mi contenterò degli scritti di quel Giovanni Tzetze, che fu nel dodicesimo secolo, e di Teodoro Metochita che viveva nel decimoquarto; scritti pieni di indigesta ma immensa erudizione classica.