<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/537&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20130712203151</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/537&oldid=-20130712203151
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 537 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 49modifica] tradotta e riportata all’occasione, la bella disputazione di TullioLaelius sive de amicitia, c. 13, Nam quibusdam etc. sino alla fine) contro quei filosofi greci, i quali dicevano caput esse ad beate vivendum securitatem; qua frui non possit animus, si tamquam parturiat unus pro pluribus: e quindi venivano a prescrivere il curam fugere, e l’honestam rem actionemve, ne sollicitus sis, aut non suscipere aut susceptam deponere. La qual filosofia, è presso a poco la filosofia dell’inazione e del nulla, la filosofia perfettamente ragionevole, la filosofia de’ nostri giorni. E quella disputazione di Tullio si può avere per una disputazione contro l’egoismo, sebbene, a quei tempi, ancora ignoto di nome. Quae est enim ista securitas? dice Cicerone; e segue facendo vedere a che cosa porti. Ma il principale è, che non solamente porta a mille assurdità e scelleraggini (secondo natura, non secondo ragione, ma Cicerone chiama la natura, optimam bene vivendi[p. 50modifica]ducem, c. 5).: ma non ottiene neanche il suo fine, ch’é la felicità dell’individuo