<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/48&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20130712192915</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/48&oldid=-20130712192915
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 48 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 152modifica] a lui convenienti. Laddove la fonte non essendo alterata, restiamo sempre in diritto d’attingerne, e anche quivi con giudizio, e quanto è permesso dalle alterazioni che ha sofferte il nostro proprio rivo, per cagione delle quali alcune acque della stessa sorgente non ci si potrebbero mescolare senza sconvenienza. Ed ecco la cagione del diverso diritto e delle diverse conseguenze, che si devono dedurre dalla fratellanza delle lingue e dalla figliolanza. Quello poi che ho detto delle parole va inteso, e molto piú intensamente, delle frasi che corrompono piú e sconvengono piú, avendo faccia piú manifestamente straniera e dissimile. E che questa non sia pedanteria e cieca venerazione dell’antichità si vede chiaro da questo, che non solo non amiamo ma detestiamo le parole greche; quantunque la lingua latina ne prendesse in tanta copia, e appunto per uso d’arricchirsi, e per le diverse necessità d’esprimer questa o quella cosa mancante di parola latina, dove senza crearla di nuovo la levavano di peso dal greco, ed è costume usitatissimo dei latini, [p. 153modifica]come di Cicerone, di Celso ec., quantunque principalmente di chi scriveva di scienze come Plinio ec., ma anche Orazio com’è notissimo ec. Ora, perché queste hanno viso per noi straniero, le fuggiamo di cuore, ed anche gran parte delle frasi strettamente prese, giacché, dei modi piú largamente, infiniti ne convengono a maraviglia alla nostra lingua. Al contrario però di noi la lingua francese non fa una difficoltà al mondo di spogliare la lingua greca secondo i suoi bisogni; e in questi ultimi tempi se n’è empiuta e satollata strabocchevolmente, onde già fanno dizionari delle parole francesi derivate dal greco, cosa per altro scellerata, che guasta quella lingua orrendamente (come guasta indegnamente la nostra la barbarie comunissima di usar queste stesse parole greche, massime le moderne pigliandole non dal greco ma dal francese colla stessa barbarie però, quantunque i piú neppur sappiano che siano interamente greche ma le abbiano per pure francesi, come despota, demagogo, anarchia, aristocrazia, democrazia, colle terminazioni greche sole, per esempio civismo, filosofismo ec. ec. che in gran parte son politiche messe fuori dalla repubblica francese, ma ce ne ha di tutti i generi); e in principal modo perchè, essendo adottata da tutti gli scrittori di scienze la nomenclatura tratta dal greco, onde non c’è scienza, anzi neppure arte, mestiere, rettorica, grammatica ec. che non sia piena di greco, e perfino nel suo nome e in quello delle sue parti non sia intieramente greca, le parole greche, essendo necessariamente di quel sembiante che siamo soliti di vedere nelle usate dagli scienziati, danno alla lingua francese (e darebbero a qualunque lingua e daranno all’italiana se dalla francese saranno trasportate stabilmente nella nostra) un’aria indegna di tecnicismo (per usare una di queste belle parole) e di geometrico e di matematico e di scientifico che ischeletrisce la lingua, riducendola in certo modo ad angoli: e perché non c’è cosa piú [p. 154modifica]nemica della natura che l’arida geometria, le toglie tutta la naturalezza e la naïveté e la popolarità (onde nasce la bellezza), e la grazia e la venustà e proprietà, ed anche la forza e robustezza ed efficacia, mancando anche questa assolutamente al linguaggio tecnico che non fa forza col linguaggio, ma con quello che risulta dalle parole, cioè col significato loro e coll’argomento e ragione o col concetto spiegato freddamente con esse.