tono coll’indole della lingua nostra, e le lasciano la sua forma e sembianza nativa e la sua grazia ec., ma queste dissuonano manifestissimamente e sconvengono, e sconvenendo fanno la barbarie, e se son molte guastano le forme native e la venustà e grazia propria e primitiva della lingua. E questa sconvenienza si scorge anche nelle semplici parole, com’è chiaro, vedendosi subito che vengono da un’altra fonte, laddove le latine non possono venire da un’altra fonte, essendo da quella stessa fonte venuta si può dir tutta intera la lingua italiana; e benché da essa sia venuta anche la francese, non però la italiana è venuta dalla francese, e quindi per quanto la sorgente sia la stessa, nel corso si può bene il rivo essere, anzi s’è, mutato e alterato, ed ha acquistato proprietà tali, che non ha piú nessun diritto di dare ad un altro rivo nato dalla stessa sorgente le sue acque, come (48) a lui convenienti. Laddove la fonte non essendo alterata, restiamo sempre in diritto d’attingerne, e anche quivi con giudizio, e quanto è permesso dalle alterazioni che ha sofferte il nostro proprio rivo, per cagione delle quali alcune acque della stessa sorgente non ci si potrebbero mescolare senza sconvenienza. Ed ecco la cagione del diverso diritto e delle diverse conseguenze, che si devono dedurre dalla fratellanza delle lingue e dalla figliolanza. Quello poi che ho detto delle parole va inteso, e molto piú intensamente, delle frasi che corrompono piú e sconvengono piú, avendo faccia piú manifestamente straniera e dissimile. E che questa non sia pedanteria e cieca venerazione dell’antichità si vede chiaro da questo, che non solo non amiamo ma detestiamo le parole greche; quantunque la lingua latina ne prendesse in tanta copia, e appunto per uso d’arricchirsi, e per le diverse necessità d’esprimer questa o quella cosa mancante di parola latina, dove senza crearla di nuovo la levavano di peso dal greco, ed è costume usitatissimo dei latini,