<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/449&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20130712192755</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/449&oldid=-20130712192755
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 449 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 476modifica] è fuor del caso). Ora è cosa dimostrata dalla continua esperienza, che l’uomo si determina al credere tanto piú facilmente, prontamente, e certamente, quanto piú è vicino allo stato naturale, come appunto accade negli animali, che non hanno né difficoltà né lentezza né dubbio intorno alle loro idee o credenze innate nel senso detto di sopra. E cosí il fanciullo, l’ignorante, ec. E per lo contrario, quanto piú si è lontani dallo stato naturale, cioè quanto piú si sa, tanto maggior difficoltà e lentezza si prova alla determinazione dell’intelletto e tanto minor forza, ossia certezza, ha questa determinazione o credenza. Cosí che la certezza degli uomini nel credere (e quindi la determinazione e forza nell’operare, ch’è in ragion diretta colla certezza del credere) è in ragione inversa del loro sapere. Hoc unum scio, me nihil scire: famoso detto di quell’antico sapiente. E questa è la conclusione, la sostanza, il ristretto, la sommità, la mèta, la perfezione della sapienza. Laddove il fanciullo e l’ignorante si può dire che crede di non ignorar nulla: e se non altro, crede di saper di certo tutto quello che crede. E questa è la sommità dell’ignoranza (onde credendo quello ch’é conforme alla natura, e credendolo in questo modo, [p. 477modifica]ne viene a esser felice e