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476 pensieri (448-449)

mancanza di ogni determinazione dell’intelletto, cioè di ogni credenza, sarebbe mortifera per l’animale libero e dipendente dalla sua propria determinazione, cosí anche appresso a poco il dubbio, ch’é quasi tutt’uno col detto stato. Cosí anche sarà cattiva e dannosa la difficoltà o lentezza al determinarsi (riferite a questo capo l’angoscia e il tormento dell’irresoluzione); e quindi lo stato dell’uomo sarà tanto piú felice, quanto egli avrà maggior facilità e prontezza a determinarsi a credere (dal che poi segue l’operare); cioè a tirare una conseguenza da un tal dato; e con quanto maggior forza, ossia certezza, egli si determinerà al credere (s’intende già che la credenza sia buona per lui, perché la supposizione contraria  (449) è fuor del caso). Ora è cosa dimostrata dalla continua esperienza, che l’uomo si determina al credere tanto piú facilmente, prontamente, e certamente, quanto piú è vicino allo stato naturale, come appunto accade negli animali, che non hanno né difficoltà né lentezza né dubbio intorno alle loro idee o credenze innate nel senso detto di sopra. E cosí il fanciullo, l’ignorante, ec. E per lo contrario, quanto piú si è lontani dallo stato naturale, cioè quanto piú si sa, tanto maggior difficoltà e lentezza si prova alla determinazione dell’intelletto e tanto minor forza, ossia certezza, ha questa determinazione o credenza. Cosí che la certezza degli uomini nel credere (e quindi la determinazione e forza nell’operare, ch’è in ragion diretta colla certezza del credere) è in ragione inversa del loro sapere. Hoc unum scio, me nihil scire: famoso detto di quell’antico sapiente. E questa è la conclusione, la sostanza, il ristretto, la sommità, la mèta, la perfezione della sapienza. Laddove il fanciullo e l’ignorante si può dire che crede di non ignorar nulla: e se non altro, crede di saper di certo tutto quello che crede. E questa è la sommità dell’ignoranza (onde credendo quello ch’é conforme alla natura, e credendolo in questo modo,