<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4384&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20200109103102</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4384&oldid=-20200109103102
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 4384 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 323modifica] metro desidera ne’ libri Omerici: e l’esametro dell’Iliade s’accorcerebbe di piú d’uno de’ suoi tempi musicali, se avesse da leggersi al modo de’ bisantini, snaturando vocali, o costringendole a far da dittonghi. Però i greci d’oggi, a’ quali la pronunzia letteraria venne da Costantinopoli, e serbasi nel canto della loro Chiesa, porgono le consonanti armoniosissime; ma non versi, poiché secondano accenti semplici e circonflessi, e spiriti aspri e soavi — come che non ne aspirino mai veruno — ed apostrofi ed espedienti parecchi moltiplicatisi da que’ semidigammi ideati in Alessandria, talor utili in quanto provvedono alla etimologia e alle altre faccende della grammatica. Non però è da tenerne conto in poesia, dove la guida vera alla prosodia deriva dal metro; e il metro dipendeva egli fuorché dalla pronunzia nell’età de’ poeti? Ad ogni modo i grammatici greci sottosopra [p. 324modifica]lasciarono stare i vocaboli come ve gli avevano trovati, sí che ogni lettore li proferisse o peggio o meglio a sua posta. Ma i fiorentini non ricordevoli di passati o di posteri, uscirono fuor delle strette medesime con la regola universale — Che la scrittura non s’allontani dalla pronunzia un minimo che; e non trapelando lume, né cenno di pronunzia certa dalle scritture, pigliarono quella che udivano. Però mozzando vocali, e raddoppiando consonanti, e aiutandosi d’accenti e d’apostrofi, stabilirono un’ortografia, la quale facesse suonare all’orecchio non Io, né lo Imperio, o lo Inferno; ma I', lo ’Mpero, lo ’Nferno: e con mille altre delle sconciature