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324 | pensieri | (4384-4385) |
lasciarono stare i vocaboli come ve gli avevano trovati, sí che ogni lettore li proferisse o peggio o meglio a sua posta. Ma i fiorentini non ricordevoli di passati o di posteri, uscirono fuor delle strette medesime con la regola universale — Che la scrittura non s’allontani dalla pronunzia un minimo che; e non trapelando lume, né cenno di pronunzia certa dalle scritture, pigliarono quella che udivano. Però mozzando vocali, e raddoppiando consonanti, e aiutandosi d’accenti e d’apostrofi, stabilirono un’ortografia, la quale facesse suonare all’orecchio non Io, né lo Imperio, o lo Inferno; ma I', lo ’Mpero, lo ’Nferno: e con mille altre delle sconciature (4385) del dialetto fiorentino de’ loro giorni, acconciarono versi scritti tre secoli addietro.
§ 202. Queste loro squisitezze erano favorite dalla dottrina, che la lingua letteraria d’Italia fioriva tutta quanta nella loro città. Lasciamo che ove fosse vera s’oppone di tanto alle dottrine di Dante, che non sarebbe mai da applicarla ad alcuna delle opere sue. Ma avrebb’essa potuto applicarsi se non da critici ch’avessero udito recitare i versi di Dante a’ suoi giorni? L’occhio umano, paziente, fedelissimo organo, è agente piú libero e piú intelligente degli altri, perché vive piú aderente alla memoria; ma non per tanto non può fare che passino cent’anni e che le penne tutte quante non si divezzino dalle forme correnti dell’alfabeto. Cosí ogni età n’usa di distinte e sue proprie; onde per chiunque ne faccia pratica bastano ad accertarlo del secolo d’ogni scrittura. Ma sono divarii permanenti nelle carte; arrivano a’ posteri; e si lasciano raffrontare dall’occhio. Non cosí l’orecchio; capricciosissimo, perché raccoglie involontario, istantaneo e di necessità tutti i suoni; e gli organi della voce gli sono connessi, cooperanti passivi, e meccanici imitatori; e però niun uomo cresce muto se non perché nasce sordissimo. Di quanto dunque piú preste e piú varie e piú impercettibili che la scrittura non saranno