<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4383&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20200110161314</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4383&oldid=-20200110161314
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 4383 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 322modifica] vedendola migliore di poco nel miracoloso fra’ testi del Decamerone ricopiato dal Mannelli (Discorso sul Testo del Decamerone, p. XI, seg.; p. CVI, nota) — parve agli Accademici di recare tutte le regole in una, ed è: — «che la scrittura segua la pronunzia, e che da essa non s’allontani un minimo che». (Prefazione al Vocabolario, sez. VIII, nota). Guardando ora agli avanzi della Volgata Omerica di Aristarco, parrebbe che gli Accademici dei Tolomei fossero di poco piú savii, o meno boriosi de’ nostri. La prosodia d’Omero, per l’amore di tutte le [p. 323modifica]lingue primitive alla melodia, gode di protrarre le modulazioni delle vocali. L’orecchio ateniese, come avviene ne’ progressi d’ogni poesia, faceva piú conto dell’armonia, e la congegnava nelle articolazioni delle consonanti; e tanto era il fastidio delle troppe modulazioni, chiamate iati dagli intendenti, che ne vennero intarsiate fra parole e parole le particelle che hanno suoni senza pensiero. Quindi gli Alessandrini, alle strette fra Omero e gli Attici, e non s’attentando di svilupparsene, emendarono l’Iliade, cosí che ne nasceva lingua e verseggiatura, la quale non è di poesia né primitiva, né raffinata. I greci ad ogni modo s’aiutavano tanto quanto, come i francesi e gl’inglesi; ed elidendo uno o piú segni alfabetici nel pronunziare, non li sottraevano dalla scrittura; cosí le apparenze rimanevano quasi le stesse. Ma che non pronunziassero come scrivevano, n’è prova evidentissima che ogni metro ne’ poeti piú tardi, e peggio negli ateniesi, ridonderebbe; né sarebbero versi, a chi recitandoli dividesse le vocali quanto il