Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4382
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* Ivi, § 150. Senza ritoccare la questione (e ne discorro altrove [forse nell’articolo sull’Odissea di Pindemonte], e la tengo oggimai definita) se i due poemi sgorgavano da un solo ingegno nella medesima età, (Payne Knight, Carmina Homerica, Prolegomena, sect.,
Leopardi. — Pensieri, VII 21 LVIII; — e il volumetto A History of the text of the Iliad. Nota) chi non vede che sono dissimili in tutto fra loro, e che tendevano a mire diverse? Perciò nell’Iliade la realtà sta sempre immedesimata alla grandezza ideale, sí che l’una può raramente scevrarsi dall’altra, né sai ben discernere quale delle due vi predomini; e chi volesse disgiungerle, le annienterebbe. Bensí nell’Odissea la natura reale fu ritratta dalla vita domestica e giornaliera degli uomini, e la descrizione piace per l’esattezza; mentre gli incanti di Circe, e i buoi del Sole, e i Ciclopi,
compiacciono all’amore delle meraviglie: ma l’incredibile vi sta da sè; e il vero da sé (19 settembre 1828).
* Ivi, § 201. Ma quale si fosse il tenore della lingua e della verseggiatura di Dante, non è da trovarlo in codice veruno; e in ciò la Volgata con la dottrina e la pratica dell’Accademia predomina sempre in qualunque edizione ed emendazione. Avvedendosi «Che per difetto comune di quell’età» — e chi mai non se ne avvedrebbe quand’è piú o meno difetto delle altre? — «l’ortografia era dura, manchevole, soverchia, confusa, varia, incostante, e finalmente senza molta ragione» (Salviati, Avvertimenti, vol. I, lib. 3, cap. 4, nota) — anzi