<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/405&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20130712192609</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/405&oldid=-20130712192609
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 405 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
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per la sua disubbidienza, e con ciò causata la sua corruzione. La perfezion della ragione non è la perfezione dell’uomo assolutamente, ma bensí dell’uomo tal qual è dopo la corruzione. Perché la perfezione di un essere non è altro che l’intiera conformità colla sua essenza primigenia. Ora l’essenza primigenia dell’uomo supponeva e conteneva l’ubbidienza della ragione, in somma tutto l’opposto della perfezion della ragione. Questa perfezione dunque non poteva essere la sua felicità in questa vita, non essendo la perfezione [p. 449modifica]dell’ente. Non poteva dunque se non formare la sua felicità in un’altra vita, dove la natura dell’ente in certo modo si cambiasse. La ragione, massime relativamente all’altra vita, non può essere perfezionata se non dalla rivelazione. Fu dunque necessario che Dio rivelasse all’uomo la sua origine e i suoi destini; quei destini che avrebbe conseguiti rimanendo nello stato naturale, e gli avrebbe conseguiti insieme colla felicità terrena. Laddove il cristianesimo chiama beato chi piange, predica i patimenti, li rende utili e necessari; in una parola suppone essenzialmente l’infelicità di questa vita, per conseguenza