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pensieri |
(403-404-405) |
tinuo da un grado di civiltà ad un altro, poi all’eccesso di civiltà e finalmente alla barbarie e poi da capo. Barbarie, s’intende, di corruzione, non già stato primitivo (404) assolutamente e naturale, giacché questo non sarebbe barbarie. Ma la storia non ci presenta mai l’uomo in questo stato preciso. Bensí ci dimostra che l’uomo tal quale è ridotto non può godere maggior felicità che in uno stato di civiltà media, dove prevalga la natura, quanto è compatibile colla sua ragione già radicata in un posto piú alto del primitivo. Questo stato non è il naturale assoluto, ma è quello stabilito appresso a poco dalla religione, come dirò poi. Lo stato naturale assoluto non poteva dunque tornare senza un miracolo. Il discorso de’ miracoli è sopraumano e non entra in filosofia. Perché dunque l’uomo, corrotto com’é, non abbia mai ricuperato né sia per ricuperare lo stato puramente naturale e la felicità di cui godono tutti gli altri esseri, rimane, colla detta ragione, spiegato in filosofia. In religione anche meglio; perché Dio, in pena del peccato, avendo condannato l’uomo all’infelicità della corruzione derivata da esso peccato, non voleva né doveva fare questo miracolo. Volendo mostrargli la sua misericordia e dare al suo stato una perfezione compatibile colla sua condanna, cioè colla sua infelicità, non restava altro che perfezionare la sua ragione, cioè quella parte che aveva prevaluto immutabilmente nell’uomo (405)
per la sua disubbidienza, e con ciò causata la sua corruzione. La perfezion della ragione non è la perfezione dell’uomo assolutamente, ma bensí dell’uomo tal qual è dopo la corruzione. Perché la perfezione di un essere non è altro che l’intiera conformità colla sua essenza primigenia. Ora l’essenza primigenia dell’uomo supponeva e conteneva l’ubbidienza della ragione, in somma tutto l’opposto della perfezion della ragione. Questa perfezione dunque non poteva essere la sua felicità in questa vita, non essendo la perfe-