<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4028&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20161208072007</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4028&oldid=-20161208072007
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 4028 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 404modifica] conosce a prima vista (e indubbiamente almen da un intendente ed esercitato) per la differenza e per la detta qualità del numero, un seicentista da un cinquecentista, ancorché quello sia de’ migliori, ed anche conforme in tutto il resto agli antichi. Il Pallavicini, ottimo per se in quasi tutto il restante, pecca moltissimo nella sfacciataggine e uniformità (vera o apparente, come dico altrove) del numero, alla quale subito si riconosce il suo stile, diverso principalmente per questo (quanto all’estrinseco, cioè astraendo dalle antitesi e concettuzzi che spettano piuttosto alle sentenze e ai concetti, come appunto si chiamano) da’ nostri antichi, da lui tanto studiati, e tanto e cosí bene espressi e seguiti. Che dirò del numero di Apuleio, Petronio ec. rispetto a quello di Cicerone e di Livio? non che di Cesare, e de’ piú antichi e semplici, che Cicerone nell’Oratore dice mancar tutti del numero e s’intende del cólto, perché senza un numero non possono essere. Vedi pag. seg. Che dirò di Lucano, dell’autore del Moretum, Stazio ec. rispetto a Virgilio? Marziale a Catullo ec.? Or questa mutazione e depravazione del numero dovette necessariamente essere una delle maggiori cagioni dell’alterazione della lingua sí greca, sí latina e italiana, sí ec., massime quanto ai costrutti e l’ordine, e quindi alla frase e frasi, e quindi all’indole, insomma al principale. Anche si dovettero depravar le semplici parole per servire al numero, e grattar l’orecchio avido di nuovi e spiccati suoni, o sformando le vecchie, o inducendone delle nuove e strane, o componendone, come in greco, o troncandole come tra noi (l’uso de’ troncamenti è singolarmente proprio del Pallavicini e de’ secentisti e de’ piú moderni da loro in poi), avendo riguardo sí al suono della parola in se, sí al suo effetto nella composizione [p. 405modifica]e nel periodo (9 febbraio 1824) (veggasi il detto altrove su d’alcuni sforzati costrutti d’Isocrate per evitare il concorso (conflitto) delle vocali ec. ec. (9 febbraio 1824); riferiscasi ancora a questo proposito, per quanto gli può toccare, il detto altrove sul vario gusto de’ greci, latini e italiani in diversi tempi, circa il concorso, l’abbondanza ec. delle vocali). Ora se questo accadeva a Isocrate, ottimo giudice ed esposto