[p. 22 modifica] Anzi questa seconda proposizione è necessaria conseguenza della prima, e quasi la medesima diversamente enunziata. Perocché dove non v’ha piacere, quivi ha patimento, perché v’ha desiderio non soddisfatto di piacere, e il desiderio non soddisfatto è pena. Né v’ha stato intermedio, come si crede, tra il soffrire e il godere; perché il vivente desiderando sempre per necessità di natura il piacere, e desiderandolo perciò appunto ch’ei vive, quando e’ non gode, ei soffre. E non godendo mai né mai potendo veramente godere, resta ch’ei sempre soffra, mentre ch’ei vive, in quanto ei sente la vita: ché quando ei non la sente, non soffre; come nel sonno, nel letargo ec. Ma in questi casi ei non soffre perché la vita non gli è sensibile, e perché in certo modo ei non vive. Né altrimenti ei può cessare o intermettere di soffrire, che o cessando veramente di vivere, o non sentendo la vita, ch’è quasi come intermetterla, e lasciare per un certo intervallo di esser vivente. In questi soli casi il vivente può non soffrire. Vivendo e sentendo di vivere, ei nol può mai; e ciò per propria essenza sua e della vita, e