Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3056

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[p. 158 modifica] che parole nazionali usualissime, volgarissime s’abbiano da scrivere non come la nazione le pronunzia, ma come le scrivevano quelli dalle cui lingue esse vennero, i quali cosí le scrivevano perché cosí le pronunziavano, giacché anche i latini pronunziavano, [p. 159 modifica]pronunziavano, per esempio, l’y come u gallico ec. (sebbene anch’essi da’ tempi di Cicerone in poi peccarono un poco nella servile imitazione della scrittura greca circa le parole venute o nuovamente prese dal greco). E vedi Desbillons, ad Phaedr., Manheim, 1786, p. LXVIII. Che se le voci naturalizzate in una lingua, e mutate affatto dal loro primo stato per la pronunzia della nazione, s’avessero sempre a scrivere nel modo in cui le scrivevano o le scrivono quei popoli, ancorché lontanissimi e diversissimi, onde a noi vennero, e se la scrittura originale s’avesse sempre a conservare in ciascuna voce, cangiata o non cangiata dal tempo, dal luogo, e dalla diversa nazione e lingua, e se il pregio, di un’ortografia consistesse nel conservare le forme originali di ciascuna voce per forestiera ch’ella fosse, non so perché le voci venute dal greco non si debbano scrivere con lettere greche, e l’ebraiche e le arabiche con lettere e punti ebraici ed arabici, e le tedesche con lettere tedesche. Giacché usando diverso alfabeto la scrittura originale si può imitare, ma non perfettamente conservare. E cosí dovremmo imparare e usare cento alfabeti per saper leggere e scrivere la nostra lingua.