<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2641&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20151205204856</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2641&oldid=-20151205204856
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 2641 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 349modifica] dell’antichità della lingua, e quindi della [p. 350modifica]sua purità; le quali due qualità sono quasi il medesimo, se non che la prima di queste due voci dice qualcosa di piú. Dell’antichità, dico, è conservatrice la lingua poetica, sí ne’ vocaboli, sí nelle frasi, sí nelle forme, sí eziandio nelle inflessioni o coniugazioni de’ verbi e in altre particolarità grammaticali. Nelle quali tutte essa conserva (o segue di tratto in tratto a suo arbitrio) l’antico uso, stato comune ai primi prosatori, e quindi sbandito dalle prose. Ed ha notato il Perticari nel Trattato degli Scrittori del Trecento che in tanta corruzione ultimamente accaduta della nostra lingua parlata e scritta lo scriver poetico s’era pur conservato e si conserva puro; il che fino a un certo segno, e massime ne’ versificatori