[p. 295 modifica] tutto il restante suo merito letterario, s’aveva in lui, come in tutti gli altri, per mero accessorio. E fu stimato gran poeta, non già per l’Eneide, ch’oggi s’ammira e si ristampa, ch’é scritta in istile e lingua propria del suo tempo, benché abbellita al suo modo, e arricchita di latinismi. Questa fu opera postuma e non levò molto grido nel cinquecento. Il Caro fu creduto un sommo letterato perché sapeva rimare alla petrarchesca e giudicar di tali pretese poesie. E la sua famosa canzone fu strabocchevolmente ammirata (ed oggi non s’arriva a poterla legger tutta), perché si disse che il Petrarca non l’avrebbe scritta altrimenti (Caro, Apologia, p. 18). E chi non sa l’inferno che cagionò in Italia, e come nella disputa di quell’impiccio petrarchesco ci prese parte tutta la nazione letterata, considerandola come affar di tutta la letteratura? Fatto sta che le maravigliose prose del Caro, benché stimate,