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(2534-2535-2536-2537) | pensieri | 295 |
dalle sue lettere vedrete che questa riposava essenzialmente e soprattutto nell’opinion ch’egli avea di poeta (che nol fu mai), e (2535) tutto il restante suo merito letterario, s’aveva in lui, come in tutti gli altri, per mero accessorio. E fu stimato gran poeta, non già per l’Eneide, ch’oggi s’ammira e si ristampa, ch’é scritta in istile e lingua propria del suo tempo, benché abbellita al suo modo, e arricchita di latinismi. Questa fu opera postuma e non levò molto grido nel cinquecento. Il Caro fu creduto un sommo letterato perché sapeva rimare alla petrarchesca e giudicar di tali pretese poesie. E la sua famosa canzone fu strabocchevolmente ammirata (ed oggi non s’arriva a poterla legger tutta), perché si disse che il Petrarca non l’avrebbe scritta altrimenti (Caro, Apologia, p. 18). E chi non sa l’inferno che cagionò in Italia, e come nella disputa di quell’impiccio petrarchesco ci prese parte tutta la nazione letterata, considerandola come affar di tutta la letteratura? Fatto sta che le maravigliose prose del Caro, benché stimate, (2536) non furono già ammirate nel cinquecento (quanto alla lingua). Ed è certo che la lingua del Caro, come l’immaginazione e l’ingegno di Dante, son venute principalmente in onore e riposte nel sommo luogo che meritano in questo e sulla fine del passato secolo. Il che, di Dante, si vede anche fra gli stranieri. E quanto a lui, ciò si deve al perfezionamento de’ lumi e del gusto e della filosofia e della teoria dell’arti e del sentimento del vero bello. Quanto al Caro, ciò viene in gran parte da circostanze materiali.
2,° Le prose italiane ch’ebbero fama nel cinquecento l’ebbero per l’una di queste ragioni: 1,° Per essere scritte alla boccaccevole (e quindi fuor dell’uso di quel secolo), come sono l’Arcadia del Sannazzaro nelle prose, le prose del Bembo e tutte quelle del Caro, tolte le lettere. E notate che questi prosatori e i loro simili furono appunto i (2537) piú stimati in quel secolo (al