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[p. 101 modifica] questa sorgente della poesia moderna che consiste in non guardare nessuna cosa con noncuranza, in attribuir senso a ogni cosa e riconoscer vita sotto tutte le possibili forme, in avvivare insomma la natura col mezzo d’idee poeticamente analoghe, ec. ec. Dunque, non solo concede che la natura si avvivi, ma essenzialmente lo vuole, e dice di contrapporre questo sistema vitale al mitologico ec., e per esempio di questo avvivamento, diverso da quello che faceano i mitologi, si serve di un passo di loro Byron, dove attribuisce sospiri fragranti alla rosa innamorata. Ma che? non vuole che si avvivi la natura cosí individualmente, diremo, e mediatamente, come i mitologi faceano, personificando affetti e numi e piante ec., ma la natura immediatamente, senza convertirla in individui e riconoscendo vita sotto tutte le forme e non esclusivamente sotto l’umana, in somma che tutto sia animato e sensitivo, non che siano uomini dappertutto. Ma non si avvede il Breme, non si avvedono i romantici, che questi che debbono avvivare la natura, questi poeti, son uomini, e non possono naturalmente e per intimo impulso concepir vita nelle cose se non umana, e che questo dare agli oggetti inanimati, agli Dei, e fino ai propri affetti, pensieri e forme e affetti umani è cosí naturale all’uomo che per levargli questo vizio bisognerebbe rifarlo; non si avvede che il suppor vita nelle cose, per esempio inanimate, diversa dalla nostra ripugna di maniera al nostro istinto e alla nostra natura che appartiene appuntino a quello che si chiama cattivo gusto, al gusto che si chiama gotico, che si chiama cinese; che il poeta non deve seguir né la ragione né la metafisica (posto pur che la ragione ami meglio nelle cose che non vivono una vita diversa dalla nostra che uguale, e cosí discorrete degli Dei ec.), ma la natura e l’istinto, e che per quanto si può argomentare da questo istinto, il cavallo per esempio, se avesse ragione e immaginativa, [p. 102 modifica]attribuirebbe a Dio (il cavallo sarebbe allora ragionevole, onde nessuno si scandalizzi di quel che dirò), e alle cose inanimate ec. ec. la figura e gli affetti e i pensieri del cavallo, e cosí gli altri animali (e questo pensiero non è mio ma dell’antico Senofane, perché molte cose son vecchie che si credono nuove, e molta sapienza è antica alla quale si crede che quei cervelli non arrivassero); non si avvede che, se la rosa sospira ed è innamorata, la rosa, nella mente del poeta, non è mica altro che una donna, e che voler supporre che questa rosa viva, e non viva come noi, se è possibile al metafisico, è impossibilissimo al poeta e agli uditori del poeta, che non sono mica i metafisici ma il volgo; e non si avvede che lo stesso lord Byron non ha saputo alla sua rosa e tutti i romantici non sapranno in eterno a nessunissima cosa dare altri affetti o sensi che umani, perché diversi affetti o sensi appena ci sappiamo persuadere che ci possano essere, non che possiamo immaginarci quali siano, ec. ec. Quanto all’arte di poetare e di scrivere che il Breme pare che disprezzi per la maggior parte, mi sbrigo in due parole. Questo imitar la natura, questo destare i sentimenti che voi altri volete, è facile o difficile? ognuno che li sente è sicuro, purché si metta a scrivere, di comunicarli subito agli altri, o no? Se sí, me ne rallegro, e avrò piacere di vederne l’esperimento; se no, se questa cosa è tra le difficili difficilissima,