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[p. 97 modifica] avvedono che appunto questo grand’ideale dei tempi nostri, questo conoscere cosí intimamente il cuor nostro, questo analizzarne, prevederne, distinguerne ad uno ad uno tutti i piú minuti affetti, quest’arte insomma psicologica, distrugge l’illusione senza cui non ci sarà poesia in sempiterno, distrugge la grandezza dell’animo e delle azioni (vedi quel che ho detto in altro pensiero), e che, mentre l’uomo, preso in grande, si allontana da quella puerizia in cui tutto è singolare e maraviglioso, in cui l’immaginazione par che non abbia confini, da quella puerizia che cosí era propria del mondo a tempo degli antichi, come è propria di ciascun uomo al suo tempo, perde la capacità di esser sedotto, diventa artificioso e malizioso, non sa piú palpitare per una cosa che conosce vana, cade tra le branche della ragione, e se anche palpita (perché il cuor nostro non è cangiato, ma la mente [p. 98 modifica]sola), questa benedetta mente gli va a ricercare tutti i secreti di questo palpito, e svanisce ogn’ispirazione, svanisce ogni poesia: e non si avvedono che s’è perduto il linguaggio della natura, e che questo sentimentale non è altro che l’invecchiamento dell’animo nostro, e non ci permette piú di parlare se non con arte, e che quella santa semplicità che dalla natura non può sparire, perché la natura coll’uomo non invecchia, e la qual sola ci può destare quei veri e dolci sentimenti che andiamo cercando, non è piú propria di noi come era propria degli antichi, e che però per parlare come questa semplicità parla e come insegna la natura, e destare quei sentimenti che la sola natura può destare, è forza in questo tristissimo secolo di ragione e di lume, che fuggiamo da noi stessi, e vediamo come parlavano gli antichi che erano ancora fanciulli e con occhi non maliziosi né curiosacci, ma ingenui e purissimi vedevano la santa natura e la dipingevano; e insomma non si avvedono che essi amici della natura sola vengono in effetto a predicar l’arte, e noi amici dell’arte veniamo verissimamente a predicar la natura. Qui cadrebbe in acconcio il discorrere dell’affettazione, che è il vizio generale nelle arti belle e abbraccia quasi tutti i vizi, e come il sentimentale sia facilissimamente pura affettazione, e come spessissimo, invece di destare quei sentimenti che vorrebbe, gli spenga, quando forse quel tale oggetto naturale, o veduto o descritto li veniva destando, e come questi sentimenti sieno d’infinita verecondia, ec. ec. Ma quel ridurre che fa il Breme la poesia moderna al solo patetico (distinguetelo pur quanto volete dal malinconico, come di sopra ho detto), quasi che il sublime, l’impetuoso, l’esultante, il giubilante (so bene che anche la gioia può esser patetica, ma non nei casi ch’io dico), il grazioso disinvolto e insomma quasi tutta la poesia degli antichi, l’epopea, la lirica quando non è sentimentale, i cantici di trionfo, le descrizioni delle battaglie, [p. 99 modifica]taglie, i salmi di Davidde, le odi di Anacreonte ec. ec. ec. non fosse poesia, o almeno ai moderni non paresse piú tale, o almeno (non si sa poi perché, quando non si ammettano le due cose precedenti) dai moderni non dovesse piú esser coltivata; come non deve parere una pazzia difficile a credere che sia caduta in testa d’un uomo savio? Dunque Virgilio non è poeta altro che nel quarto libro dell'Eneide, e nell’episodio di Niso ed Eurialo, e che so io? dunque