[p. 212 modifica] Ma gli altri due non iscrissero italiano che per passatempo, e tanto è lungi che volessero applicarlo alla letteratura, che anzi non iscrivevano quelle materie in quella lingua, se non perché le credevano indegne della lingua letterata, cioè latina, in cui scrivevano tutto ciò con cui miravano a farsi nome di letterati, e ad accrescer la letteratura; siccome giudicavano (ancor dopo Dante, ed espressamente contro il parere e l’esempio suo, specialmente il Petrarca ) che la lingua italiana fosse indegna e incapace delle materie gravi e della letteratura; sicché non pur non vollero applicarvela, ma non credettero di potere, né che veruno potesse mai farlo. Opinione che durò fin dopo la metà del Cinquecento circa il poema eroico, del quale pochi anni dopo la morte dell’Ariosto, e pochi prima che uscisse la Gerusalemme, si credeva in Italia che la lingua italiana non fosse capace; onde il Caro prese a tradurre l’Eneide ec. (Vedi il terzo tomo delle sue lettere, se non fallo). Ed è notissima l’opinione che portava il Petrarca del suo Canzoniere; ed egli lo scrisse