Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/1013
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volgare e l’altra nobile, usata da’ patrizi e dagli scrittori (i quali neppur credo che scrivessero come parlavano i patrizi) (Andrés, loc. cit., p. 256, nota) che Roma al tempo della sua grandezza avesse una lingua rustica, plebeia, vulgaris, un sermo barbarus, pedestris, militaris, (Spettatore di Milano, quaderno 97, p. 242) è noto e certo, senza entrare in altre quistioni, per la espressa testimonianza di Cicerone (Andrés, l. c). Del quale antico volgare latino parlerò forse quando che sia di proposito. Ora si veda quanto fosse impossibile che la lingua latina divenisse universale, mentre i soldati, i negozianti, i viaggiatori, i governanti, le colonie ec. diffondevano una lingua diversa dalla letterata, che sola avendo consistenza e forma, sola è capace di universalità; e mentre l’unicità di una lingua, come ho detto altrove, è la prima condizione per poter essere universale. Laddove la latina, non solo non era unica nella sua costituzione e nella sua indole, dirò cosí, interiore, come lo è la francese; ma era divisa perfino esteriormente in lingue diverse e, si può dir, doppia ec. (4 maggio 1821). Vedi p. 1020, capoverso 1.
* Alla p. 999. Cosí chi sapesse l’antica lingua teutonica non intenderebbe perciò la tedesca, senza espresso e fondato studio. Andrés, loc. cit. di sopra (p. 1010), p.253; non ostante che la tedesca, secondo il Tercier, ec. Vedi p.